(29/11/2015) – C’era un nebbione, 40 anni fa, mentre il Piper Aztec pilotato da Graham Hill era in avvicinamento all’aeroporto di Elstree. Sull’aereo con lui il giovane (23 anni) e molto promettente pilota inglese Tony Brise, che aveva appena firmato un contratto biennale per correre dal 1976 con la Embassy Hill, il progettista Andy Smallman e tre meccanici: Ray Brimble, Tony Alcock e Terry Richards. Tornavano dal Paul Ricard, al termine di una sessione di prove della nuova monoposto GH2, diretti a Londra dove avrebbero partecipato ad un party. Invece si schiantarono tra gli alberi di un campo da golf ad Arkley, nei pressi di Barnet. Tutti morti. Fine del Team. Una vera tragedia perdere così Hill, due volte campione del mondo, unico ad aver centrato il grande slam motoristico: titolo F1, 500 Miglia di Indianapolis, 24 Ore di Le Mans, vero gentleman. Pensare che aveva cominciato come meccanico alla Lotus. E pensare che era sopravvissuto ad un incidente terrificante a Watkins Glen nel 1969, quando venne sbalzato fuori dalla sua monoposto. Se la cavò con molte fratture. Nel 1975, dopo aver subito l’onta della mancata qualificazione a Montecarlo – il gran premio che lo aveva visto vincitore cinque volte – decise che a 46 anni era arrivata l’ora di appendere il casco al chiodo e, ormai Costruttore, di lanciare un erede. Brise era perfetto per coronare il progetto. Il padre era stato buon pilota, anche di stock car europea. Lui aveva vinto e convinto in F3 e soprattutto in Formula Atlantic. Lo notò per primo Frank Williams, che lo fece esordire nel Gp di Spagna al Montjiuch, quello dell’incidente di Stommelen che guidava la Lola Embassy modificata, la prima Hill da F1 (GH1). Da Montecarlo quel volante toccò a lui e nonostante nessun risultato eclatante (ma spesso fu molto più veloce del compagno Alan Jones) il “vecchio” Hill puntò su di lui. Con un po’ più di esperienza e la nuova GH2, il potenziale di quella fulgida promessa – era il parere pressoché unanime – sarebbe venuto fuori. Non lo sapremo mai.
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