(27/11/2020) – Oggi ricorrono i 25 anni dalla morte di Giancarlo Baghetti, un unicum nel panorama dei piloti di Formula 1. Perché? Perché è ancora l’unico ad aver riportato una vittoria al debutto, per la cronaca il Gran Premio di Francia a Reims nel 1961. Un clamoroso successo avvalorato, tra l’altro, dal fatto di essere avvenuto al volante della Ferrari. Peccato che, di fatto, quella vittoria fu l’inizio del suo declino. Bravo, bello e talentuoso non riuscì ad affermarsi come poteva e doveva, cosa avvenuta linearmente nella sua “second life”, nel mondo del giornalismo e della fotografia. Un brutto male ce lo ha portato via a soli 60 anni di età.
VITTORIA AL DEBUTTO, IL 2 LUGLIO 1961 A REIMS – Pilota di successo in F3, compì il gran balzo nella massima formula a 26 anni grazie alla intuizione di Eugenio Dragoni, titolare della Scuderia Sant’Ambroeus, che lo volle alla guida della Ferrari che il Drake gli aveva “appaltato” nell’ambito dell’iniziativa FISA, Federazione italiana scuderie automobilistiche, finalizzata ad offrire la ghiotta possibilità, seppur non ufficiale, a piloti italiani. Dragoni – che qualche anno dopo sarebbe stato protagonista dell’acerrimo contrasto con Surtees in veste di DS di Maranello – aveva visto giusto, tra l’altro in concorrenza con l’altro astro nascente tricolore Lorenzo Bandini. Baghetti, infatti, si impose subito, tra lo stupore generale, al Gran Premio di Siracusa, gara non titolata ma di estremo prestigio, tanto che non mancavano avversari di rango come Brabham, Moss, Dan Gurney. Ammirevole bis al successivo Gran Premio di Napoli, zona Posillipo. Poi la prova del nove: gara di campionato mondiale a Reims. Baghetti aveva la particolarità di esaminare e percorrere minuziosamente il tracciato sul quale sarebbe stato impegnato. Anche nella sconosciuta terra francese fece così, di notte.
La domenica, caldissima, 2 luglio pronti-via dalla quinta fila e si ritrovò a centro gruppo ma alla fine i ritiri dei compagni di colore Hill, Von Trips e Ginther lo elessero a unico difensore in pista delle velleità ferrariste. I ritiri falcidiarono anche il plotone di temibili avversari, da Clark a Graham Hill, finchè apparve chiaro che la partita era ristretta a lui e alle Porsche del coriaceo Gurney e di Bonnier. Lo svedese fu out a due giri dalla bandiera a scacchi, mentre l’americano. Baghetti racconta di averlo lasciato passare conscio della maggiore velocità della potente monoposto tedesca ma speranzoso di sfruttarne la scia. Così fece e per pochi centimetri riuscì effettivamente a mettere il muso della sua Ferrari davanti all’avversario. Un sogno realizzato: il milanese era al settimo cielo, una rivelazione, nuovo idolo degli appassionati italiani. Forse una sorta di rilassatezza post gloria immediata o chissà che altro, ma simili risultati non ebbero più a ripetersi. La decisione di condividere a fine ’61 l’avventura ATS dei transfughi Ferrari – a partire dall’ingegner Chiti – non gli giovò e terminò abbastanza anonimamente la carriera nella massima formula nel 1967, anno della morte del suo antagonista-amico Bandini.