(4/9/2020) – Sono passati 50 anni dall’incidente e dalla morte a Monza di Jochen Rindt, il 5 settembre 1970, un sabato pomeriggio, nel corso delle prove di qualifica del Gran Premio d’Italia. Il pilota della Lotus 72, in testa al campionato con 20 punti di vantaggio su Jack Brabham, stava affrontando in pieno il rettilineo che porta alla Parabolica. Il racconto di Denis Hulme che lo seguiva sulla sua Mc Laren: “La vettura andò leggermente a destra, poi a sinistra e poi di nuovo a destra. Dopo si spostò bruscamente a sinistra e stava iniziando un testa-coda quando urtò il guard-rail”. Il motivo esatto è tuttora sconosciuto, l’urto tremendo. La diagonale improvvisa della Lotus 72 assunse una dinamica fatale: la monoposto, infatti, andò ad infrangersi violentemente sul guard-rail proprio nel punto in cui era stato scavato una fossa – si presume dagli appassionati per la tradizionale invasione di pista finale – nella quale si conficcò profondamente lo pneumatico anteriore sinistro, rendendo così più tranciante l’impatto. Lo sfondamento dello sterno ad opera del volante– Jochen aveva le cinture allentate – le fratture alle gambe (il piede sinistro quasi staccato) non lasciarono scampo al forte pilota mezzo austriaco (madre) e mezzo tedesco (padre).
RINDT, SEGNI PRECURSORI DELL’INCDENTE MORTALE … – Un anno prima, Rindt era uscito indenne da un bruttissimo incidente occorsogli durante il Gran premio di Spagna sul circuito cittadino del Montjuic. Sulla sua Lotus 49 cedettero i supporti del generoso alettone voluto da Chapman per sigillare a terra la monoposto. Rottura del setto nasale e trauma cranico, un mezzo miracolo. Due mesi prima, era rimasto molto scosso, tanto da pensare al ritiro, dalla morte dell’amico Piers Courage, vittima di un furioso incendio a Zandvoort al volante della De Tomaso. Le uniche immagini televisive dell’incidente di Rindt fanno vedere la Lotus che dopo infinite piroette si arresta all’ingresso della Parabolica in una nube di ghiaia, con l’anteriore disintegrato e le martoriate gambe del pilota, affossato nell’abitacolo, esposte. La corsa all’ospedale, le prime inutili cure, le successive polemiche sui soccorsi. Il composto dolore della moglie, la splendida modella finlandese Nina, figlia del facoltoso Curt Richard Lincoln, compostamente informata ai box dell’accaduto dall’amico Jacky Stewart.
CON NINA RINDT COPPIA ICONICA DELLA F1 – Questo il riassunto delle ultime ore del campionissimo austriaco, ispirazione per tutta una generazione di piloti dello stesso Paese. Niki Lauda lo incontrò la prima volta a 20 anni e ne rimase folgorato: “Portava un lungo cappotto di pelliccia – ricorderà – chiunque altro in quell’abbigliamento sarebbe apparso ridicolo. Lui invece apparve assolutamente regale…”. Helmut Marko, ne ha fulgidi ricordi fin da quando si frequentavano da ragazzi, ed era presente quando Jochen decise di diventare pilota, affascinato dalla visione delle F1 al Nurburgring. Bernie Ecclestone ne è stato grande manager-amico, tanto da prendersi cura, dopo la morte, delle sorti della piccola figlia Natasha Rindt, oggi 52 anni, che per qualche tempo ha lavorato nell’ambito della FOM. Nina Rindt, che con il campione austriaco, ha composto una delle coppie più iconiche di sempre della F1, oggi è una elegante signora di 77 anni che vive circondata dai ricordi e dai trofei del consorte prematuramente scomparso a 28 anni. Nessuno, in quell’ultimo scorcio di stagione 1970, riuscì a superare Rindt in classifica generale, tanto che rimane l’unico pilota ad aver vinto postumo il titolo mondiale. Non ci riuscirono i ferraristi Clay Regazzoni, che il giorno dopo vinse la gara in un tripudio che fa capire quanto sia sottile in F1 il confine tra la mestizia della morte e l’affermazione della gloria sportiva, né Jacky Ickx che pure vinse ancora due gran premi su tre finali. Un vero personaggio, Jochen Rindt che oggi avrebbe 78 anni: anticonformista, spontaneo, sognatore, talentuoso.