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VETTEL – FERRARI: FINE (ANNUNCIATA) DI UNA STORIA. HAMILTON AD UN BIVIO

(12/5/2020) – Fulmine di martedì mattina: l’amore tra la Scuderia Ferrari e Sebastian Vettel è finito. Ufficialmente. E’ stata infatti comunicata “la decisione di non prolungare il rapporto di collaborazione tecnico-sportiva oltre la sua naturale scadenza, prevista al termine della stagione sportiva 2020”. Non è una grande sorpresa: si sapeva che le posizioni erano distanti – offerta di rinnovo solo annuale del contratto – e che Vettel, ormai, era dato in veste di seconda guida dopo l’esplosione di Leclerc. Il tedesco, coerentemente con il suo modo di pensare, come avvenuto a fine 2014 alla Red Bull dove Ricciardo lo aveva messo in ombra, ha volto lo sguardo altrove. Dove? Per il momento non si sa (leggete la sua dichiarazione sotto): potrebbe ritirarsi o accettare offerte che senz’altro non mancheranno (Mercedes, Mc Laren, Renault). Nello stesso tempo, la decisione scatena la corsa al posto vacante in Ferrari. La lista è lunga e, soprattutto, rimette in ballo il nome di – udite, udite – Lewis Hamilton. La cosa si può fare, è una mera questione di scelte, di volontà. La Ferrari deciderà di puntare sul pilota migliore? Hamilton vorrà esaudire un suo sogno neanche tanto segreto, a costo di lasciare un top team come Mercedes? E se così andasse, la Mercedes stessa rimarrebbe in F1 o, come già si vocifera, tirerebbe i remi in barca magari puntando sulla mobilità sostenibile (Formula E) richiesta dal mercato post Covid19? E se lo facesse, un costruttore come Renault si sentirebbe di imitarla (a De Meo l’ardua scelta)? Insomma, il divorzio consensuale tra la Ferrari e Vettel mette un bel po’ di pepe sulla coda della F1 che sta per “celebrare” i 70 anni e l’effetto domino è garantito. Per tornare ai nomi dei possibili ferraristi, oltre alla citata opzione Hamilton, eccoli: Ricciardo, Sainz, Perez, Hulkenberg. Ma ecco le dichiarazioni:

Mattia Binotto: “Abbiamo preso questa decisione insieme a Sebastian e riteniamo che sia la miglior soluzione per entrambe le parti. Non è stato un passo facile da compiere, considerato il valore di Sebastian, come pilota e come persona. Non c’è stato un motivo specifico che ha determinato questa decisione bensì la comune e amichevole constatazione che è arrivato il momento di proseguire il nostro cammino su strade diverse per inseguire i nostri rispettivi obiettivi. Sebastian è già entrato nella storia della Scuderia – con 14 Gran Premi conquistati è il terzo pilota più vittorioso ed è già quello che ha ottenuto il maggior numero di punti iridati – e nelle cinque stagioni fin qui disputate con noi è salito tre volte sul podio del Campionato Piloti, contribuendo in maniera decisiva alla costante presenza della squadra tra le prime tre della classifica Costruttori. A nome di tutta la Ferrari voglio ringraziare Sebastian per la sua grande professionalità e l’umanità dimostrate in questi cinque anni, nei quali abbiamo condiviso tanti momenti importanti. Insieme non siamo ancora riusciti a vincere un titolo iridato che per lui sarebbe il quinto ma siamo convinti che in questa anomala stagione 2020 riusciremo a toglierci ancora tante soddisfazioni.

Sebastian Vettel:  “Il mio rapporto con la Scuderia Ferrari terminerà alla fine del 2020. In questo sport per riuscire ad ottenere il massimo bisogna essere in perfetta sintonia ed io e la squadra abbiamo realizzato che non esiste più una volontà comune di proseguire insieme oltre la fine di questo campionato. In questa comune decisione non entrano in alcun modo in gioco aspetti economici: non è il mio modo di ragionare quando si fanno certe scelte e non lo sarà mai. Quello che è accaduto in questi ultimi mesi ha portato tanti di noi a fare delle riflessioni su quelle che sono davvero le priorità della vita: c’è bisogno di immaginazione e di avere un nuovo approccio a una situazione che è mutata. Io stesso mi prenderò il tempo necessario per riflettere su cosa sia realmente essenziale per il mio futuro. La Scuderia Ferrari ha un posto speciale nella Formula 1 e le auguro tutto il successo che merita. Infine, voglio ringraziare tutta la famiglia Ferrari e, soprattutto, i suoi tifosi sparsi in tutto il mondo per il sostegno che mi hanno dato in questi anni. Il mio immediato obiettivo sarà quello di chiudere nella miglior maniera possibile questa lunga storia con la Ferrari cercando di condividere insieme ancora dei bei momenti, come i tanti già vissuti in passato”.
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MARCHE 1970: PORSCHE 917 vs FERRARI 512S

(11/5/2020) – Campionato Mondiale Marche 1970, 50 anni fa. Ecco le avvisaglie di guerra: Salone dell’auto di Ginevra 1969: la Porsche presenta la 917; Salone dell’auto di Torino 1969, la Ferrari svela la 512S. Due armi assolute, bestioni da 5000 di cilindrata, motoroni da oltre 550 cavalli, vetture bellissime, mitiche, che in quel momento volevano rappresentare le punte di diamante delle industrie automobilistiche di Italia e Germania impegnate in un duro confronto sportivo e di immagine, che dalle piste si trasferiva direttamente sui mercati internazionali. A fine anni ’60, il Mondiale Marche, dopo l’epopea del titanico scontro Ferrari-Ford, conobbe un momento di ripensamento. Dall’altra parte, la Formula 1 cominciava a mietere sempre maggiori interessi e sponsor e chi ne tirava le fila non lesinava sforzi e persuasioni per renderla e farla riconoscere la categoria regina dell’automobilismo.

PORSCHE 917, OBIETTIVO LE MANS CENTRATO – Il nuovo regolamento del Marche dal 1968 prevedeva il coinvolgimento di vetture Sport con cilindrata 3 litri oppure Prototipi 5 litri costruiti  in almeno 50 esemplari, che divennero poi 25. Una nuova sfida per le Case costruttrici – l’omologazione risultò abbastanza sofferta – che ancora puntavano sulle ruote coperte e sull’effetto marketing delle gare di durata. Nacquero così i due mostri da oltre 500 cavalli: l’uno – lato Germania – con l’avallo di patron Ferry Porsche e Helmut Flegl capo progetto, l’altra – lato Italia – possibile grazie ai capitali freschi della neo-azionista di maggioranza FIAT e il contributo aerodinamico della Pininfarina. Il progetto-laboratorio Porsche 917, partito in anticipo rispetto alla Ferrari 512S, ebbe un immediato riscontro già in occasione delle prove preliminari della 24 Ore di Le Mans 1969, l’obiettivo principe. I piloti, da Rolf Stommelen ad Hans Hermann, ne vennero fuori a dir poco scossi: la vettura dalla potenza impressionante era inguidabile, indomabile, pericolosa. Le vibrazioni trasmesse dall’imponente propulsore si trasferivano al corpo dei piloti. I miglioramenti non tardarono, la strada era quella giusta, ma cambiò la strategia: per l’anno a venire, la Porsche decise di affidare la gestione sportiva a team privati, Team Gulf di Jimmy Wyer quello prescelto. Fu inoltre deliberato un decisivo cambiamento: l’utilizzo della coda corta con beneficio dell’ordine di secondi sul cronometro. Tempo un anno, stagione 1970, di nuovo a Le Mans e vittoria!  A riuscirci però fu la 917 iscritta dal team (ufficiale) Porsche Konstruktionen Salzburg con alla guida Hans Hermann e Dick Attwood. Obiettivo raggiunto! La fortunata 917 consentì la conquista di due Campionati (1970 e 1971), vinse 15 gare mondiali con alla guida un totale di 15 piloti.
FERRARI 512 S, L’EXPLOIT DI SEBRING – La possente e aggressiva Ferrari 512 S con motore 12 cilindri da 4993.55 cc, nacque molto in fretta, tanto da schierarsi alla 24 Ore di Daytona quasi in extremis – segnale confortante la pole by Mario Andretti – e l’ingegner Mauro Forghieri si basò sull’esperienza della 612 Can-Am. Il telaio non era particolarmente innovativo, né l’aerodinamica si avvalse della galleria del vento. Lo stesso Enzo Ferrari non pareva troppo convinto dell’operazione. Risultato 1970, deficitario: una sola vittoria, per quanto la 12 Ore di Sebring rappresentasse sempre una conquista di rilievo che val la pena di raccontare per i suoi curiosi risvolti. Tra le tante Porsche avversarie schierate nella classicissima della Florida, c’era anche la 908 affidata al duo Revson-McQueen, l’attore col pallino dell’automobilismo impegnato sui due fronti: stava effettuando nel contempo le riprese del film cult “La 24 Ore di Le Mans”. A causa di un infortunio sul set, affrontò la gara con il piede sinistro ingessato. La Ferrariguadagnò ancora la pole col solito Piedone Andretti – in equipaggio con Merzario – che scattò poi in testa. Il passare delle ore propose un valzer di soste e di avvicendamenti in testa per arrivare poi alla resa dei conti dell’affidabilità. Ne fecero le spese le Porsche 917 di Elford e di Siffert-Redman, la 512 di Ickx-Schetty e quella di Giunti-Vaccarella, attardata. Anche Andretti, leader della gara, dovette fare i conti con il cambio rotto mentre Siffert, salito sulla Porsche di Rodriguez-Kinnunen, non ne approfittò per guai al cuscinetto di una ruota. Indovinate chi finì in testa alla gara? La Porsche di Revson-McQueen! A quel punto anche Forghieri sparigliò le carte chiedendo ad Andretti di prendere il volante della berlinetta di Giunti-Vaccarella e tentare l’impresa: superare nei successivi 55 minuti la Porsche 908! Mario volò, letteralmente, riuscendo a vincere nonostante un ultimo rabbocco di benzina che poteva rimettere in gioco gli avversari. L’italo-americano confesserà la molla formidabile che gli aveva dato lo sprint vincente: “Ci ho messo ancora più rabbia perché non potevo sopportare si dicesse che ero stato battuto da un attore tra l’altro con un piede ingessato!”. Quella notte fu festa grande ma, nonostante il successivo allestimento del modello 512 M, la Porsche 917 continuò a dettare legge e la Ferrari cominciò a concentrarsi sempre più unicamente sulla F1. 
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PETERSON, 50 ANNI FA L’ESORDIO IN F1. CON BEGANOVIC LA SVEZIA CI RIPROVA

PETERSON NEL GP DI ESORDIO, MONTECARLO 1970
(7/5/2020) – Da Peterson a Beganovic, la tradizione svedese si rinnova. Risale al Gran Premio di Monaco del 10 maggio 1970 l’esordio in F1, su una March-Cosworth messa in pista dalla Antiques Automobiles Racing Team, di un ragazzone svedese di 26 anni sul quale molti scommettevano: si chiamava Ronnie Peterson. Si classificò settimo ma era solo l’inizio di una carriera e di una bella storia purtroppo non a lieto fine. Aveva vinto sui kart, aveva vinto in F3, compreso il probante Gp di Monaco 1969, e nel 1971 avrebbe vinto anche il campionato europeo di F2 mentre già si faceva spazio in F1 tanto da diventare subito vice campione del mondo dietro al ben più esperto Jacky Stewart. Insomma, talento innato. Col tempo si sarebbe capito di più di lui: non molte doti di collaudo (anzi poche) ma uno dei piloti più veloci, sempre e comunque, mai visti in pista. Velocità costante, incredibile controllo delle auto, indiscussa abilità. Coraggioso, impavido, re del sovrasterzo. In una parola, Superswede. Poteva vincere il titolo nel 1972 ma, con poche cortesie tra i due, toccò al compagno di squadra Fittipaldi. Poteva farcela nel 1978 ma Andretti seppe sfruttare meglio l’imbattibile Lotus 79. In quell’anno non perse solo il titolo ma anche la vita, a Monza. “Non credevo si potesse morire per una gamba rotta”, disse Colin Chapman. Le fratture, per la verità, erano dieci ma, altrettanto vera è la polemica sul tipo di soccorsi che lo svedese ricevette all’Ospedale Niguarda di Milano (morì per un’embolia gassosa). Lasciò una figlia piccola, Nina (oggi Kennedy) e l’affezionatissima moglie Barbro che a distanza di qualche anno perse la vita in una vasca da bagno per l’assunzione di alcuni farmaci.

DINO BEGANOVIC IN FDA – L’ultimo a provare a rinverdire la filiera svedese in F1 è stato Marcus Ericsson che, povero di risultati, ha poi dovuto cedere il volante dell’Alfa Romeo (Sauber) all’italiano Giovinazzi. Nel 2020 è con Chip Ganassi in Indycar. A gennaio di quest’anno, però, si affacciato alle luci della ribalta un ragazzino di Landeryd dal volto simpatico, Dino Beganovic,16 anni. E che ribalta: è entrato a far parte della Ferrari Driver Academy. E’ nato il 19 gennaio 2004 e fin qui ha mostrato la propria classe sui kart, con due titoli di campionato svedese già in bacheca e un secondo posto nella WSK Euro Series raccolto nel 2019. Dino arriva alla FDA grazie anche alle indicazioni di Tony Kart che per il programma di Maranello svolge attività di scouting nel mondo del karting. Grazie alla collaborazione con il costruttore di Prevalle, infatti, sono già arrivati in FDA Marcus Armstrong e Gianluca Petecof. Beganovic è all’esordio in monoposto e dunque per lui il naturale passo avanti è la Formula 4: la squadra che lo accompagnerà nella nuova avventura, speriamo possa iniziare presto, sarà il Prema Powerteam. Grande Ronnie! Auguri a Dino!
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GP UNGHERIA: F1, NULLA DA DIRE? NEL 1985 IN SUDAFRICA…

(6/5/2020) – Nell’ipotetico ma sempre più realistico calendario della F1 2020, che dovrebbe partire nel doppio week del 5 e 12 luglio in Austria, permane il Gran Premio d’Ungheria previsto il 2 agosto, anche se potrebbe slittare sotto Ferragosto (come un tempo). C’è un però. Tra le conseguenze della pandemia da Coronavirus, vi è stata anche la decisione del parlamento magiaro di attribuire al leader Orban i pieni poteri a tempo indeterminato per gestire questa emergenza. Potrà governare attraverso l’uso esclusivo di decreti, sciogliere il Parlamento, cambiare o sospendere leggi in vigore, e anche bloccare le elezioni. Qualcosa che non si era mai visto. Il voto ha scatenato l’allarme dell’opposizione e di gran parte dell’opinione pubblica ungheresi che parlano di risoluzione “sproporzionata”. L’UE ha avviato una valutazione relativa alla tenuta dei diritti fondamentali dei cittadini ma preoccupa, tra l’altro, la possibilità di sanzioni penali per chi venisse accusato di diffondere notizie false. Il leader dei socialisti ungheresi ha parlato di “inizio della dittatura senza maschera di Orban”. Tutto questo per chiedere: la F1 ha nulla da dire? Come in Barhain al tempo degli scontri durante la “primavera araba”? Leggete cosa successe nel 1985 al Gran Premi del Sudafrica.
NELSON MANDELA
START DEL GP DEL SUDAFRICA 1985
IL FORFAIT DI RENAULT, LIGIER E…JONES – Ebbene, 35 anni fa, se non la F1 nel suo complesso, alcune squadre non distolsero lo sguardo da quello che stava avvenendo in Sudafrica e cioè l’odioso apharteid. In quel periodo nel Paese i disordini e la violenza erano molto accentuati e la sicurezza non sembrava affatto garantita. Renault e Ligier decisero di non prendere parte al Gran Premio del Sudafrica per protesta contro la politica di segregazione razziale accogliendo così l’invito del Ministro dello Sport di allora Alain Calmat rivolto ai team francesi di “valutare secondo coscienza le implicazioni che avrebbe avuto la loro partecipazione”. Stesso appello fu rivolto da Brasile, Finlandia e Svezia ai piloti di loro nazionalità. Lauda disse: “Non si può correre in un pese in stato di guerra”. La Federazione Sportiva con Balestre e la FOCA, con Ecclestone, dovettero esaminare la questione. Anche in Italia si sollevò una animata discussione sull’opportunità di andare a correre laggiù (stesso discorso della Coppa Davis 1976 disputata nel Cile di Pinochet). Un deputato di sinistra propose, quanto meno, di non trasmettere il gran premio in tv e così andò. Per la cronaca, il 19 ottobre la gara si disputò. Il pilota Ligier Streiff, lasciato libero, corse con la Tyrrell; anche la Zakspeed diede forfait. Alan Jones, su pressione di Ecclestone che gli pagò un premio equivalente alla vittoria del GP, si diede malato: gli operai della Beatrice Foods, team owner, avevano minacciato uno sciopero se il Team non avesse boicottato la gara. Si classificarono solo in sette, con doppietta del duo Williams-Honda Mansell – Rosberg e Alain Prost, fresco vincitore del suo primo titolo, terzo. Il GP del Sudafrica uscì dal calendario della F1 per farvi ritorno solo nel 1992. Una pagina comunque amara.
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LE PROFEZIE DI EDDIE JORDAN: BYE BYE MERCEDES, HAMILTON ALLA FERRARI

(5/5/2020) – Spesso e volentieri Eddie Jordan fa dichiarazioni e profezie sul futuro della F1. Un mese fa ex team manager aveva eletto Prost miglior pilota di sempre e il connazionale Irvine come un campione mancato a causa del suo scanzonato way of life. Questa volta a F1insider, l’irlandese va più a fondo e, nel valutare gli inevitabili effetti della pandemia da Coronavirus, getta oscuri presagi sul Circus che verrà. In buona parte, devo dire, abbastanza condivisibili. Secondo Jordan, il mondo non potrà rimanere lo stesso dopo un simile sconvolgimento. Aumenterà la sensibilità delle masse nei confronti della tutela ambientale che, come si è visto, significa anche tutela della salute. Come questo radicale cambiamento di mentalità si potrà ripercuotere sul business anche indotto della massima formula? Ecco la profezia: nel giro di un paio di anni Mercedes, Renault e Honda si ritireranno dalla F1 alla ricerca di nuovi orizzonti sportivi e di marketing, anche per il progressivo riposizionamento degli sponsor. In particolare, Jordan ritiene vicina alla fine la partecipazione della Mercedes al mondiale che, tra l’altro, sta dominando da anni. L’armata di Stoccarda si ritirò alla fine del 1955 certamente dopo aver vinto tutto, ma anche per gli strascichi negativi dell’assurda tragedia di Le Mans dove la Mercedes di Levegh volò in tribuna centrale falcidiando a morte oltre 80 spettatori.
VETTEL ALLA MC LAREN – MERCEDES – Di più, Jordan, come d’altronde anche altri ritengono, pensa che a beneficiare del passo indietro della Mercedes sarà Lawrence Stroll, che potrebbe rilevare il tutto ben deciso a perseguire la strada migliore per portare al successo il figlio Lance. Come noto, il miliardario canadese ha appena investito in Aston Martin, dal 2021 in F1, e il futuro di Toto Wolff è stato già accostato a questa nuova iniziativa (di cui Daimler detiene il 5%). Già, ma Hamilton? Facile: per Jordan il passaggio in Ferrari a quel punto è bello e fatto! “Solo gli italiani potranno permettersi il suo stipendio”, aggiunge. Forse non solo, ma certo l’avvicinamento al campione inglese è stato attuato da John Elkann in persona e, effettivamente, potrebbe essere solo questione di poco tempo con Vettel che nicchia sul rinnovo contrattuale, uno o massimo due anni. A proposito del ferrarista tedesco, se avrà voglia di continuare, per Jordan potrà convenientemente farlo solo alla Mc Laren motorizzata Mercedes, come in un fecondo passato. Ma chi rimane in F1? Sempre per l’ineffabile Jordan, la Red Bull di Verstappen sarà l’avversario principe (ma con quale motore se Honda va via?). FantaF1!
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PIRONI, 40 ANNI FA IN BELGIO LA PRIMA VITTORIA

(4/5/2020) – In Formula 1 Didier Pironi ha debuttato nel 1978, anno in cui vinse anche la 24 Ore di Le Mans con la Renault. Tempo due stagioni e il 4 maggio 1980, giusto 40 anni fa, arrivò puntuale la prima vittoria al Gran Premio del Belgio con la Ligier-Ford. Una pista, Zolder, che doveva evidentemente piacergli: l’anno prima aveva conquistato il primo podio grazie al terzo posto con la Tyrrell. Main quel periodo il pilota francese di origini friulane – il papà emigrato era diventato titolare di una importante azienda edile di costruzioni – poteva contare, oltre che sul suo ormai esploso e riconosciuto talento, anche su un supplemento di entusiasmo: era stato infatti appena contattato dalla Ferrari! La gara belga non ha avuto storia. Dopo le prima fila, secondo tempo dietro la Williams di Jones, conquistata al venerdì – le qualifiche del sabato furono disturbate dal maltempo – Pironi grazie ad uno scatto perentorio si assicurò la leadership che non abbandonò più fino alla fine, con il futuro campione del mondo Jones ben distaccato e terzo l’altro alfiere Williams, Reutemann. Il compagno di squadra Laffite, che si avvide della forza del giovane coepiquier, solo undicesimo afflitto da problemi ai freni.

 

PIRONI – FERRARI DAL 1981 – Pironi aveva esordito in Argentina 1978 dove patron Ken Tyrrell lo aveva affiancato all’esperto Patrick Depailler. Solo alcuni piazzamenti per lui ma, come sempre, tanta grinta messa in mostra. Nel 1979, sfumata l’occasione di passare alla Renault, la Tyrrell si uniformò alla tendenza wing-car sfornando una monoposto copia della vincente Lotus 79. Didier migliorò molto le prestazioni e colse due rinfrancanti terzi posti, in Belgio e a Watkins Glen, che gli permisero di chiudere la stagione al decimo posto a pari punti col più esperto compagno di squadra Jean Pierre Jarier. Nel 1980, il passaggio alla Ligier reduce dal brillante campionato che la vide massima contendente del titolo alla Ferrari, poi vincente con Jody Scheckter. Un team tutto francese, con Jacques Laffite quale leader compagno di squadra ma che più volte venne sonoramente battuto dal più giovane e arrembante Didier capace, oltre al primo successo, di salire altre quattro volte sul podio in un’annata caratterizzata dalla supremazia delle Williams, della Brabham di Piquet e delle pur fragili Renault. Il successo di Zolder e il quinto posto finale fu la dote che Didi portò alla Ferrari dove andava felicemente a cominciare una concorrenziale convivenza con Gilles Villeneuve…