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1980 DA PAURA: L’INCIDENTE DI REGAZZONI A LONG BEACH E ALTRI CRASH

(30/3/2020) – L’assolata Long Beach di 40 anni fa rappresentò il tramonto di Clay Regazzoni: il 30 marzo 1980, al 51° giro del Gran Premio USA-Ovest,  il forte pilota svizzero si ritrovò senza freni mentre a circa 250 km/h la sua Ensign affrontava l’allungo della Soreline Drive. Il disperato tentativo di rallentarne la folle corsa contro il cemento cercando di strisciare sul muretto laterale trovò nella Brabham di Zunino, precedentemente incidentata e incautamente “parcheggiata” nella via di fuga, un moltiplicatore di effetti negativi. Dopo un volo pauroso, Clay si salvò e restò cosciente ma il responso finale del Saint Mary Hospital, dove fu portato appena venne liberato dalla carcassa fumante della sua monoposto, fu grave. Aveva diverse fratture ma quelle di due vertebre destavano particolare apprensione per il rischio di paralisi. Così fu, nonostante tanti interventi e tante speranze di interventi miracolosi, e per l’ex ferrarista cominciò una vita nuova. Paraplegico, ma sempre Clay (Dakar compresa). E’ una pagina di storia della Formula 1 ben nota:https://motor-chicche.blogspot.com/2015/03/in-out-gp-long-beach-30-marzo1980.html
1980, QUANTI INCIDENTI, DA VILLENEUVE A PROST, A SURER – Una stagione disgraziata, quella 1980, e inoltre l’incidente del ticinese fu preceduto da ben quattro oscure avvisaglie. Nel corso del Gran Premio inaugurale della stagione, a Buenos Aires, Gilles Villeneuve fu autore di un improvviso “dritto” da brividi causato dalla rottura di una braccetto della sospensione sinistra della sua Ferrari. Illeso. Un mese più tardi, durante una sessione di test al Paul Ricard, sempre il pilota canadese uscì rovinosamente di pista ad una velocità stimata di 290 km/h abbattendo una selva di reti di contenimento. Fortunatamente non riportò danni neanche in questa occasione. Terza prova di campionato a Kyalami, Gran Premio del Sudafrica. Dopo due belle gare d’esordio, Alain Prost su Mc Laren fu protagonista di un’uscita di pista che gli costò una triplice frattura del polso che lo costrinse a saltare proprio il successivo GP di Long Beach. Sulla stessa pista andò peggio allo svizzero Marc Surer – un brutto momento per i piloti della Confederazione – che si schiantò con la sua ATS in fondo al lungo rettifilo d’arrivo arrivando a colpire il muretto di cemento. Per lui, numerose fratture a gambe e caviglie e sono ancora strazianti le immagini dei soccorsi e del dolore provato dal pilota https://www.youtube.com/watch?v=2YvqaK9ZAQQ
Insomma, ci sono periodi in cui gira tutto storto ma il peggio quell’anno doveva ancora venire, l’1 agosto, con la morte di Patrick Depailler…
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SANDRO MUNARI, IL DRAGO DI CAVARZERE OGGI 80 ANNI

(27/3/2020) – Un mese fa gli 80 anni di un grande della pista come Mario Andretti, oggi 80 anni li compie un grande dei rally come Sandro Munari. Dici Munari e dici rally. Perché è stato il primo campionissimo italiano e ha ispirato tutti gli altri, perché ha reso famosi i rally in Italia, perché lui e la Lancia, dalla Fulvia alla magnifica Stratos, sono iconografia della categoria e del motorsport intero, perché è stato il primo italiano a sbancare nel 1972 il famoso Rally di Montecarlo e poi a dominarlo dal 1975 al 1977, anno del titolo mondiale. Perché le gare rally le ha vinte tutte, ad eccezione del Safari. Perché era apprezzato da Enzo Ferrari che lo cita due volte nel suo libro “Piloti che gente…” in ricordo della grande vittoria alla Targa Florio 1972 in coppia con Arturo Merzario e quale componente dello squadrone che portò a Maranello l’ambitissimo Mondiale Marche in quello stesso anno. Insomma, Munari è storia delle corse e l’appellativo “Il Drago di Cavarzere” se lo è guadagnato e meritato tutto.

LA STORIA DI UN DRAGO – Il suo destino sembra quello di rappresentante di serrande (non è uno scherzo) poi scopre i motori e comincia con i kart, quindi addirittura come navigatore del magico Arnaldo Cavallari, negli anni ’60 vero specialista dei rally e punto di riferimento di una generazione di appassionati. Grazie a lui ottenne la chance di passare al volante per la scuderia Jolly Club. Il decollo avviene con l’abbinamento, diciamo così, alla Lancia. Comincia infatti a furoreggiare con la Fulvia HF navigato da Lucio Bombardini – “un fratello per me” – che perde in un brutto incidente in Jugoslavia. Scosso, non demorde e nel 1969 è campione italiano rally. Ma siamo alla vigilia della consacrazione, dei grandi e ripetuti successi, compreso l’Europeo del 1973, davanti ai mostri sacri finlandesi, navigato dall’altrettanto celebre Mario Mannucci, scomparso nel 2011. Dopo la Fulvia e la Stratos, pupillo del Gruppo torinese, guida anche la Fiat 131.


MUNARI OGGI – Uomo serio, di non molte parole, pacato, riflessivo. Pilota determinato, concentrato, preparato, predestinato. Ecco chi è e chi è stato Sandro Munari, che poi si è dedicato alla formazione e alla sicurezza gestendo l’Abarth Driving School a Balocco e un corso di Guida Sicura ad Adria. Oggi vive tranquillo con la moglie e non fa mistero di avere tanta nostalgia di quei tempi magici, più umani, diversi dagli attuali. La sua vita è racchiusa in un libro, scritto in collaborazione con Sergio Remondino, intitolato “Sandro Munari. Una Vita di Traverso”. Non poteva essere altrimenti.

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MERCEDES, NOZZE D’ARGENTO CON LA F1 MODERNA

(26/3/2020) – Il 26 marzo 1995 rappresenta una delle date importanti per la Formula1: il ritorno della Mercedes in F1, sia pur come motorista. Amaggior ragione per gli sviluppi che l’operazione che sto per ricordarvi ha avuto. Il parterre dei Team di quel campionato datata 20 anni fa annoverava quindi, tra Ferrari e Benetton che passava dal motore Ford a quello Renault, un nuovo, temibile binomio: la Mc Laren MercedesIl colpaccio di Ron Dennis stava nell’aver riportato, sia pur in veste di fornitore, la stella di Stoccarda nella massima formula. Non ci aveva avuto più nulla a che fare dal ritiro avvenuto a fine1955, dopo aver dominato per due anni di seguito grazie alla classe immensa del pilota Fangio e alla superiorità tecnico-telaistica del suo pacchetto che si materializzò nella formidabile W196. La scritta Mercedes-Benz riappariva su una F1.

 

CAMPIONATO F1 1995: C’E’ LA MC LAREN MERCEDES – Anni ’90, il team con sede a Woking veniva da anni difficili dopo l’epopea Senna e la perdita del motore Honda. Nel 1994 sembrava essere stata varata un’operazione degna di rilievo: l’accordo per la fornitura del motore Peugeot ma il binomio anglo-francese non diede i frutti sperati anche se, grazie al talento del pilota di punta Hakkinen, si salì sei volte sul podio (compreso quello triste di Imola). Un matrimonio insoddisfacente per entrambi e quindi di breve durata. Ma arriva la svolta. La Mercedes, un vero colosso, decide di rientrare in F1 e viene siglata la storica l’alleanza con la Mc Laren. Si fanno le cose in grande: accanto al confermato Hakkinen viene ingaggiato niente meno che il Leone d’Inghilterra Nigel Mansell, l’anno prima richiamato in servizio dalla Williams del drammatico dopo Senna e vincitore dell’ultimo GP ’94 ad Adelaide. Proprio il campione del mondo 1992 oscurò i riflettori: dopo aver testato la monoposto bianco rossa fa le bizze, rigetta l’auto e alla fine dà l’addio definitivo alla F1, sostituito dal connazionale Mike Blundell. La stagione dell’esordio è però deficitaria, la Mc Larenrimane quarta in classifica costruttori con Hakkinen che coglie due secondi posti (Monza e Suzuka) ma purtroppo rimane vittima di un tragico incidente durante le prove del GP d’Australia ad Adelaide. Si riprenderà dal coma, eccome se si riprenderà…

 

MOTORE MERCEDES BY ILMOR – Ma qui preme ricordare gli albori tecnici di quell’avventura e la sua evoluzione. Il motore V10 venne realizzato dalla Ilmor di Mario Ilien e Paul Morgan (poi prematuramente scomparso). Ai due l’esperienza non mancava: in America avevano già seguito il progetto Cosworth Turbo destinato a Indianapolis e quello Chevrolet Turbo per l’Indycar. Fu Roger Penske, che aveva supportato quest’ultima iniziativa, a creare il terreno fertile tra la Ilmor (già con esperienze anche in F1, Leyton House, March, Pacific, Tyrrell, Sauber) Mercedes. Ne venne fuori il progetto F0110, un propulsore compatto, dal basamento veramente stretto alloggiato nella non eccelsa Mc Laren Mp4/10 studiata da Neil Oatley. La prima vittoria col vessillo anglo-teutonico nel Gp d’apertura del 1997 a Melbourne ad opera di David Coulthard ma soprattutto arriveranno i titoli mondiali conquistati da Hakkinen nel 1998 e 1999 al termine di aspre ed indimenticabili contese con la Ferrari di Michael Schumacher. La Goldenera del Kaiser rosso, il ritiro di Hakkinen e l’avvento di Alonso con la Renault ne smorzarono la poderosa presenza temporaneamente  rivitalizzata dalla nascita dell’astro Raikkonen. La spy story del 2007 ai danni della Ferrari, un anno dopo il corposo ingresso societario della Mercedes in Mc Laren col 40%, segnarono irrimediabilmente i rapporti con Ron Dennis e nonostante la rocambolesca vittoria del mondiale 2008, al termine del 2009 i tedeschi annunciarono l’acquisizione del materiale Brown Gp, sorprendente campione in carica, il disimpegno azionario e, dal 2010, la “discesa in pista” diretta col nome Mercedes (e un certo Schumacher al volante). L’inizio di una cavalcata trionfale che ancora oggi nessuno sembra in grado di rallentare.
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GP BRASIL 1990 / LA PRIMA VITTORIA DI PROST CON LA FERRARI, INTANTO SENNA…

(25/3/2020)Gran Premio del Brasile, 25 marzo 1990: trent’anni fa, alla seconda gara con la tuta rossa della Ferrari, Alain Prost infilò subito la prima vittoria in sella al Cavallino, la 40^ personale. Il francese era approdato a Maranello dopo il clamoroso divorzio dalla Mc Laren con la quale aveva appena conquistato il terzo titolo mondiale ma, soprattutto, era entrato in insanabile contrasto con il compagno di squadra Senna a seguito del celebre scontro di Suzuka. I due “galletti” adesso lottavano con potenti armi diverse, ma guardate bene il podio 1990 di Interlagos con Prost sul gradino più alto, Berger secondo e l’arci-nemico Senna terzo dopo una collisione col doppiato Nakajima. In quel momento, il brasiliano era in trattativa molto ben avviata…per passare alla Ferrari l’anno successivo!
LA PRIMA DEL PROFESSOR PROST – L’esordio assoluto di Prost con la Ferrari avvenne negli USA, a Phoenix, due settimane prima. Le bizze del meteo nelle qualifiche e una perdita d’olio in gara contrassegnarono col bollino nero la prima esperienza del Professore al volante della Rossa. Pronta la riscossa, tra l’altro proprio nella patria e sulla pista del nemico: Brasile, Interlagos appena rinnovata. Le premesse non sembravano molto incoraggianti: in qualifica il transalpino guadagnò solo la terza fila dietro le due Williams-Renault di Boutsen e Patrese e, davanti a tutti, le due Mc Laren di Berger e del pole man Senna. Pronti-via e ben presto, anche a causa dei guai altrui, il trenino era condotto dal solito duo, con Prost in costante avvicinamento a Senna. Ma ecco l’imprevisto: quando il brasiliano aveva circa 10” di vantaggio sul ferrarista, un malinteso col doppiato Nakajima su Tyrrell costò la rottura del musetto e una sosta al box che non gli consentì più di raggiungere il nuovo leader della corsa. https://www.youtube.com/watch?v=lKDww2BdRlU


IL RETROSCENA: SENNA-FERRARI – Il clou, però, doveva ancora venire. Nelle ore successive alla gara, Senna e il DS della Ferrari Cesare Fiorio si incontrarono segretamente nell’abitazione di San Paolo del campione brasiliano. Ayrton aveva rotto gli indugi e si era dichiarato disponibile al clamoroso passaggio di casacca. Il contratto venne perfezionato in particolare per superare lo scoglio sponsorizzazioni personali del campione. Era fatta: dal 1991 Senna sarebbe stato ferrarista. Con Prost? In realtà Fiorio, molto ambiziosamente, pensava ad una coppia con Riccardo Patrese e d’altronde il francese mai e poi mai avrebbe accettato quella coabitazione che aveva già rigettato abbandonando la Mc Laren. Il resto è storia nota: l’operazione abilmente ordita da Fiorio arrivò ai piani alti di Maranello. Il Presidente dell’epoca, Piero Fusaro, informò Prost che ovviamente fece fuoco e fiamme interessando della situazione per lui inaccettabile i vertici FIAT. La cosa svanì, i rapporti all’interno del box Ferrari peggiorarono e nella gara di Suzuka che poteva regalare a Prost e alla Ferrari il titolo mondiale, Senna pensò bene di “restituire” lo sgarbo di un anno prima e spedì fuori pista il suo…nuovo compagno di squadra!

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HAPPY BIRTHDAY / JAIME ALGUERSUARI 30 ANNI, DALLA FORMULA 1 ALLA MUSICA

(23/3/2020) – Per Jaime Alguersuari, che oggi compie 30 anni – buon compleanno! – resterà sempre l’interrogativo: dove sarebbe arrivato questo pilota spagnolo di grande talento se le cose non fossero “precipitate” in modo così repentino e inaspettato? La domanda è più che giustificata perché aveva tutte, ma proprio tutte le carte in regola per provare a seguire le orme del connazionale Alonso, l’idolo che aveva risvegliato la passione iberica per la Formula 1. Era riuscito a far parte della famiglia Red Bull ma è stato l’inizio della sua fine agonistica. Amava le corse, la F1, ma ne è stato fagocitato. Lì, nessuno spiraglio per l’amicizia, per virtuosismi vari. Non poteva funzionare: Jaime è latino al 100%, sincero, aperto, puro, creativo. Aveva la musica dentro e a quella vera passione è tornato. Oggi va per discoteche perché è un apprezzato DJ, nome d’arte DJ Squire, ma bazzica anche la TV e infatti ha condotto il reality “Generacion S” su TVE.  
IL PILOTA PIU’ GIOVANE – La conversione a U di questo ragazzo, che è stato il più giovane esordiente in F1, GP d’Ungheria 2009, a soli 19 anni, è impressionante. Nipote di fotografo sportivo e figlio di ex motociclista, è stato subito vincente nei kart per poi trasferirsi- era un ragazzino – in Italia: terzo in F. Junior e primo in F. Renault. Non fu un fuoco di paglia: a 18 anni si impose nella F3 britannica che, allora, valeva ancora un pass per la F1. Infatti alla Red Bull si accorsero di questo exploit e, come detto, a 19 anni lo spagnolo già  inserito nello Junior Team si ritrovò in pista a Budapest con la Toro Rosso in sostituzione del giubilato Bourdais. Fu una stagione di apprendistato ma arrivò la conferma per il 2010 che si rivelò piuttosto deficitaria di risultati eclatanti. Il punto di non ritorno nel 2011 contrassegnato da due buoni settimi posti e 26 punti conquistati ma le voci sul suo riguardo che lo tormentarono per lungo tempo si concretizzarono. A fine stagione, liquidati su due piedi lui e il compagno di squadra Buemi! Una vera doccia fredda. Impietosa. Tutti ricordiamo l’aspra reprimenda di cui Alguersuari fu vittima e che ha avuto un peso nel decretare la fine della storia: in Corea del Sud l’inflessibile Helmut Marko non gli perdonò l’ostruzione per molte curve al pupillo Vettel su Red Bull. Non ci fu nulla da fare per invertire la situazione.
LA…REINVENTATE – Per qualche tempo, Alguersuari l’ha vissuta male, molto male. E’ un ragazzo profondo. Cercò di capire, di esaminarsi. E la risposta arrivò. “Ho sentito l’odio. L’odio dei giornalisti che potevano inventare cose di me, di alcuni piloti, di persone che non mi sorridevano. Cose uccidono il talento”. E ancora: “In F1 non puoi avere un’opinione” oppure “Se non sei pronto e vai in un  mondo capitalista sei un burattino, non sai chi sono i tuoi amici, stai vivendo una bugia”.  Il risentimento, la voglia di vendetta, era anche per il Team che lo aveva scaricato senza tanti complimenti. Poi il tempo ha lenito le ferite. “Pensavo: queste persone sono i miei nemici, ma poi ho realizzato che grazie a loro sono arrivato in F1” e “Con il senno di poi è stata la cosa migliore che mi è successa”. Ha provato ancora con le monoposto: la Formula E stagione 2014/2015, ma la cosa è finita con un misterioso svenimento a Mosca che ha indotto la FIA a ritirargli la licenza. Nel mese di ottobre 2015 l’annuncio del ritiro dalle corse, ha lasciato Londra ed è tornato nella sua solare Spagna, in pace e rinnovato. “Nulla accade per caso nella vita.Il mio destino non era nelle gare. Alcuni potrebbero pensare che ho fallito, in realtà io mi sento un privilegiato”. Una storia davvero particolare, intensa, che si può rivivere leggendo il suo libro “Reinvéntate. De la Fórmula 1 a la música” (“Reinventarsi” – Come sono passato dalla Formula 1 alla musica).



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21 MARZO: COSA FAREBBE SENNA A 60 ANNI?

(20/3/2020) – Domani 21 marzo Ayrton Senna avrebbe compiuto 60 anni. A quasi 26 ani dalla sua morte a Imola, è bello pensare a cosa starebbe facendo oggi il campione brasiliano. Molti non hanno dubbi sul fatto che, se l’1 maggio 1994 non fosse successo niente, Ayrton avrebbe continuato a vincere ancora per un po’ di tempo, pur duellando aspramente con l’astro nascente Schumacher. Nel fatidico 1994 arrivò a giocarsi il titolo all’ultima gara perfino il suo compagno di squadra Damon Hill, figuriamoci lui. Poi, chissà, avrebbe coronato quello che era il suo ultimo sogno: correre e vincere con la Ferrari (ci era andato vicinissimo 2 volte). O forse avrebbe mantenuto una vecchia ma seria promessa fatta a Giancarlo Minardi e cioè quella di concludere la carriera proprio con la Minardi! Alla fine, praticamente alle soglie dei 40 anni, avrebbe appeso il casco al chiodo una volta esaurita la sua enorme carica agonistica, la sua sete di prevalere, il bisogno di assecondare il senso della sua esistenza, la voglia di provare, come diceva lui, quella sensazione così intensa che la vittoria di un Gran Premio di F1 gli donava.

LA FONDAZIONE PER AIUTARE I BAMBINI – Ok, e poi, tenuto che conto che Senna era anche un abile uomo d’affari? Da ragazzo aveva frequentato una scuola a indirizzo commerciale, ma ormai ricco, con tutta probabilità si sarebbe concentrato maggiormente sul suo amatissimo Brasile per aiutare i bambini poveri e più  bisognosi di istruzione e per offrire delle chances ai giovani sprovvisti di mezzi. Era il suo intimo obiettivo e già lo faceva. Al culmine della celebrità per i suoi eccezionali successi nella massima formula riceveva tantissime richieste di aiuto alle quali non si sottraeva ma anziché soggiacervi in maniera estemporanea sentiva forte l’intenzione di organizzare meglio e quindi più diffusamente il suo sostegno. L’intenzione si è concretizzata dopo la morte, grazie alla Fondazione Ayrton Senna, con sede a San Paolo, oggi seguita in primis dalla sorella Viviane e che persegue una meritoria opera di assistenza a migliaia e migliaia di bambini, dalla fondamentale nutrizione e cura della salute fino alla pratica dell’attività sportiva. Difficile dire se Ayrton sarebbe altresì rimasto nell’ambiente motorsport. Penso di sì ma non con un team – anche se l’idea di un Team F1 brasiliano già cullata dal suo mentore Fittipaldi (la Copersucar) lo avrebbe affascinato – bensì in veste di maturo manager di giovani piccoli Senna in erba. E sicuramente molti avrebbero fatto a gara per averlo quale ambasciatore del marchio, Honda soprattutto. Un ruolo che gli sarebbe piaciuto perché lui e l’auto erano una cosa sola.
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HAMILTON-FERRARI, HA RAGIONE ECCLESTONE?

(19/3/2020) – Le ultime dichiarazioni di Bernie Ecclestoneforniscono utili spunti di riflessione in un momento di forzata stasi agonistica. Prendiamo per esempio quanto ha detto circa l’ipotesi (sconsigliata) di vedere Lewis Hamilton in Ferrari. Per l’ex Padrino della F1 non funzionerebbe e sapete perché? “Perchè sono italiani”. Voleva evidentemente dire che il DNA del Team di Maranello non è propedeutico a portare al successo il già sei volte campione del mondo inglese. Per meglio rendere l’idea ha fatto questo esempio: “Dovrebbe imparare la loro lingua per capire cosa dicono alle sue spalle. Il problema è che gli italiani non vogliono litigare, non vogliono avere discussioni con nessuno”. Si tratta di affermazioni discutibili ma, statisticamente, alcuni connubi Ferrari – grandi piloti già affermati, che sulla carta sembravano destinati a fare sfracelli, non solo non hanno funzionato ma anzi spesso sono arrivati al capolinea tra polemiche e risentimenti anche aspri. Il timore è che si stia procedendo in questo senso anche con Vettel. D’altro canto, è invece andata benissimo in altri casi, con l’esempio di Michael Schumacher su tutti (il tedesco però ci ha messo cinque anni prima di dare inizio alla fenomenale striscia vincente 2000-2004).

 

GRANDI PILOTI CHE NON HANNO VINTO CON LA FERRARI, ANZI… – Vediamo alcuni casi negativi. Anzi, partiamo da uno a metà: Ferrari – Fangio. L’obiettivo comune, e cioè il titolo mondiale 1956 è arrivato, ma quante incomprensioni, sospetti, colpi bassi. L’argentino, già 3 volte campione e grande idolo delle folle, a un certo punto era convinto di essere boicottato. A Maranello si poteva vincere ma non si doveva impersonare la vittoria. La macchina, avanti a tutto e tutti, questa la regola inderogabile del Drake. E’ leggenda, ma alla fine fu Enzo Ferrari a indurre Peter Collins nel GP decisivo di Monza a cedere la sua Rossa al campionissimo rimasto a piedi che così conquistò l’ennesimo titolo per poi dire subito addio, direzione Maserati.

Scorrendo gli anni, viene da pensare alla cattiva sorte toccata a quello che, seppur non titolato, allora era un fulgido talento e collaudatore e cioè Chris Amon, tre anni in Ferrari (1967-1969) senza una sola vittoria anche per una incredibile serie di guasti che lo hanno sempre fermato ad un passo dal successo. Nello stesso tempo, veniva criticato per la sua mancanza di coraggio in certi frangenti di gara. Il pilota neo-zelandese, però, non aveva nessuna voglia di far parte delle lunghe e tristi liste di piloti deceduti per incidenti di quegli anni.

Credeva di vincere con la Ferrari, da lui fortemente voluta, anche l’asso belga Jacky Ickx che però è capitato a Maranello in un periodo di negativa transizione tecnica e societaria (1970-1972) raccogliendo pochissimo. Poteva farcela nel 1970, con il povero Rindt deceduto a Monza, ma neppure due vittorie negli ultimi tre GP gli consentirono di superare l’austriaco impossibilitato a difendere la leadership.

In quegli anni difficili con lui c’era Clay Ragazzoni, poi cavallo di ritorno in stagioni ben più competitive (1974-1976), ma lo svizzero fu vittima della “politica” e del dualismo con l’astro nascente Niki Lauda. Perso abbastanza misteriosamente il titolo nell’ultima gara al Glen nel 1974, le “attenzioni” della Scuderia furono rivolte all’austriaco che invece trionfò nel 1975 e il 1976 fu l’ultimo, freddo anno a Maranello di Clay che secondo alcuni nella gara decisiva del Fuji fece poco per aiutare la difesa del titolo del compagno di squadra che aveva deciso di ritirarsi dopo due giri per la troppa pioggia.

Niente da fare nemmeno per Carlos Reutemann, pilota assolutamente veloce e concreto ma prima battuto dalla maggiore determinazione (e sete di rivincita personale) di Niki Lauda nel 1977 e nel 1978 arresosi alla wing car Lotus di Mario Andretti non senza però alcuni errori decisivi (la pole di Montecarlo e la prima fila di Zolder vanificate da due bruttissime partenze). Lole, senza troppi riguardi, nel 1979 pensò di accasarsi alla vincente Lotus che però non gli diede quel titolo tanto agognato.

Hamilton dovrebbe valutare anche l’esperienza in Ferrari del connazionale Nigel Mansell. Due volte vice-campione del mondo, approdò in Italia nel 1989, primo campionato senza il Drake. Sulla rivoluzionaria 640 a cambio automatico progettata da Barnard fece miracoli e vinse due volte, quando la precaria affidabilità della nuova monoposto glielo permise. Quando l’anno successivo avrebbe dovuto trarre i frutti di una stagione di apprendistato, beh, arrivò Prost. Il francese, al solito abilissimo, riuscì a far concentrare su se stesso le attenzioni e un Mansell irritato, deluso, arrabbiato arrivò addirittura ad annunciare a campionato in corso il ritiro. In realtà passerà alla Williams e fu la sua fortuna.

Alla fine, non è andata meglio allo stesso Alain Prost. Il titolo con la Ferrari lo ha solo sfiorato anche a causa del tamponamento volontario di Senna a Suzuka nel 1990 e nel 1991, complice anche una monoposto meno competitiva e lo screzio con il DS Fiorio che voleva portare a Maranello  niente meno che Senna, la situazione degenerò fino al licenziamento in tronco dovuto al famoso, frainteso (?) paragone della Rossa con un camion.

Continuiamo: Eddie Irvine nel 1999 dovette dire addio, tra mille sospetti, al sogno possibile di diventare campione del mondo. Con Schumacher in convalescenza dopo l’incidente di Silverstone, il pilota irlandese ebbe l’occasione unica di sfruttare la competitività della F399 ma il ribelle irlandese proprio in Inghilterra, poco prima dello schianto indusse il Cannibale una staccata al limite che non gli fu perdonata. In Germania si verificò il caso dello pneumatico perduto al pit-stop, in Italia, il GP di casa, la Rossa fu clamorosamente non competitiva e nella gara decisiva a Suzuka, Eddie lamentò alcune anomalie tecniche e qualcun altro  adombrò uno scarso impegno da parte di Schumi nel contrastare Hakkinen poi campione.

L’ultimo “caso” è quello di Fernando Alonso. Tutto cominciò benissimo giusto 10 anni fa con la vittoria dello spagnolo alla prima gara rossa in Barhain ma tutto si incrinò alla fine di quella stessa stagione con la mala-gestione del GP di Abu Dhabi che consegnò il titolo su un piatto d’argento a Vettel. Poi anni di alti e bassi, il nervosismo crescente, le varie dimissioni, l’alternarsi di tecnici esplicitamente richiesti dallo spagnolo, il famoso “geni/scemi” via radio agli uomini del box. Fino nel 2014, incredibile ma vero, alla chiusura anticipata del contratto che lo legava fino al 2016.

 

Mi fermo qui con gli esempi, ma ce ne sarebbero tanti altri. D’altronde la Ferrari è in F1 dall’inizio e ha scritto pagine di storia, comprese quelle di gloria mancata. Anche gli incidenti hanno purtroppo fatto la loro parte impedendo il realizzarsi di possibili trionfi: è il caso di Collins, Bandini, Gilles Villeneuve, Pironi. Rimasti a secco anche grandi piloti del calibro di Andretti, Alboreto, Arnoux, Massa. Peccato.
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ECCLESTONE, BINOTTO, HAMILTON: CHI E’ LEADER IN F1?

(17/3/2020) – Le vicissitudini sportive e umane del Gp d’Australia di Formula 1 hanno portato prepotentemente a galla la parola e il significato leader. Per esempio l’ex boss del Circus, quel Bernie Ecclestone che alla vigilia dei 90 anni ormai non ha alcun pelo sulla lingua, ha dichiarato di non ritenere l’attuale Team principal Ferrari Mattia Binotto un leader. “E’ un ingegnere”, ha precisato per poi aggiungere: “In Ferrari c’è bisogno di una persona in grado di far  intendere che quando si dice una cosa, poi questa viene fatta senza forse e senza discussioni”. E per marcare la differenza tra uno e l’altro ha tirato in ballo niente meno che Flavio Briatore. “Lui sarebbe perfetto, avrebbe fatto ciò che ha sempre alla Benetton o alla Renault: portare con sè le migliori menti dagli altri team”. Forse non è proprio questo tipo di azione al primo posto del manuale del buon leader ma serve a far capire l’orientamento di un vecchio Capitano (e probabilmente di molti altri) abituato per anni – efficacemente, bisogna dire – a navigare tra mille marosi.
Allora, vediamo un po’. Da vocabolario, leader significa “capo di un partito, di un movimento d’idee, di un’organizzazione, di un gruppo”. Insomma, un solido punto di riferimento, un sicuro portatore di ideali e valori, un decisionista votato al progresso personale e del suo gruppo. Binotto non è così? E chi lo è, oggi, in Formula 1? Lascio ad ognuno le considerazioni del caso. Chissà, forse il team principal del Cavallino “paga” anche il sostanziale immobilismo/mutismo (almeno pubblicamente) di fronte alle parole di Verstappen che l’anno scorso accusò la Ferrari, alle prese con gli alti e bassi della potenza del suo motore, di barare. Oppure, Ecclestone docet, di non aver saputo gestire la crescente concorrenza tra Vettel e Leclerc, sfociata nella doppia auto-eliminazione di Interlagos.

HAMILTON, LEZIONI DA CAMPIONE – Chi, invece, in questi delicati frangenti si è distinto per carisma, ragionevolezza e autorità è Lewis Hamilton. A 35 anni e con 6 titoli mondiali in saccoccia, oltre ad aver dimostrato di aver raggiunto una eccellente maturità in veste di pilota, sembra aver assunto la guida morale della F1. A Melbourne, mentre i grandi capi vacillavano tra la scelta di correre o meno, lui non aveva dubbi sulle motivazioni dell’empasse e durante la conferenza stampa del giovedì lo ha esplicitato con parole chiare: “Il denaro regna sovrano”. Una posizione che ha avuto il suo impatto. In queste ore sul suo profilo Instagram il pilota Mercedes sta addirittura dando lezioni di auto protezione e anche di vita: Voglio rassicurare tutti voi a mantenere la calma, a non farsi prendere dal panico e a ricordare di condividere un po’ di gentilezza e prendersi cura delle persone che hanno bisogno di aiuto. Non dimenticate che il lavaggio delle mani è la cosa più importante che puoi fare per proteggere te stesso e gli altri dal coronavirus. È molto più di un semplice risciacquo, devi assicurarti di usare acqua e sapone e lavarle per almeno 20 secondi“. Il comportamento del campionissimo risalta anche dalle recenti dichiarazioni a Square Mile in merito ad un suo possibile futuro sbarco nella Formula E: L’unica ragione che potrebbe spingermi è per ragioni etiche perché la sostenibilità è qualcosa di cui sono molto, molto consapevole ed è difficile per me, in questo momento, nel voler essere una parte del cambiamento positivo per il nostro clima”.
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LANCIA BETA MONTECARLO TURBO, 1980 ANNO DEL MONDIALE MARCHE

(16/3/2020) – 16 marzo 1980: 40 anni fa una Lancia vinceva in pista, non nei rally dove aveva già scritto pagine di storia. Sede dell’evento Brands Hatch, vettura l’affascinante Lancia Beta Montecarlo Turbo, campionato il celeberrimo Mondiale Marche, per la verità ormai in fase decadente con in pista le Shilouettes Gruppo 5 dopo i fasti degli anni precedenti. La F1 cominciava decisamente a fagocitare tutto. Proprio l’ingresso nella categoria del macchinone torinese, avvenuto l’anno prima, forme e livrea accattivanti, diede rinnovato smalto alla contesa, sia pur di corto respiro e nella “confusione” regolamentare vigente che prevedeva due Divisioni, per motori inferiori o superiori ai 2 Litri equivalenti, e l’ambigua assegnazione del punteggio.

TECNICA E PILOTI – La Lancia BetaMontercarlo montava un motore turbo KKK da 1425 cc. – il basamento era quello della Beta 1.8 con testata Abarth – 4 cilindri e 16 valvole, iniezione Bosch capace di circa 450 cavalli. Il telaio, manco a dirlo, era made in Dallara, l’aerodinamica molto studiata by Pininfarina e la conduzione tecnica affidata all’ingegner Gianni Tonti. Il Direttore Sportivo, anche qui ca va sans dir, quel Cesare Fiorio artefice delle grandi vittorie Lancia sugli sterrati (e non solo) di tutto il mondo. Il mix d’eccellenza era completato dal parco piloti scelti da Fiorio: da Riccardo Patrese a Eddie Cheever, da Michele Alboreto a Walter Rhorl, a Marku Alen. Il meglio del vivaio nazionale e due mostri sacri del rallismo internazionale.

Quel giorno a Brands Hatch si impose la coppia formata da Patrese-Rhorl davanti a Cheever-Alboreto, un trionfo. Seguirono altre due affermazioni che segnarono l’assoluto dominio nella Divisione di pertinenza e alla fine valsero, sia pur a pari punti con le formidabili Porsche 935, la conquista dell’assoluto Mondiale per il maggior numero di vittorie conseguite. Intendiamoci, la Lanciacorse nella sua Divisione praticamente senza rivali e si impose per l’incongruenza del regolamento che invece penalizzò le Porsche. Ma qui interessa raccontare di quell’impresa tutta italiana che si confermò vincente anche nel 1981, nonostante una sola vittoria assoluta alla 1000 Km del Nurburgring interrotta per l’incidente mortale di Herbert Muller, con la livrea aggiornata dall’arrivo dello sponsor Martini e l’aggiunta dell’equipaggio Ghinzani – Heyer. Una bellissima macchina, un progetto ben organizzato, e per i giovani piloti italiani impegnati un buon biglietto da visita sulla strada del professionismo.
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F1 2020, ECCO PERCHE’ TUTTO DIPENDE DALLA GRAN BRETAGNA

(16/3/2020) – Il campionato di F1 2020 è un rebus. E’ la stagione del 70° ma proprio in Gran Bretagna dove tutto iniziò il 13 maggio 1950, tutto potrebbe bloccarsi. Vediamo perché. Dopo i tentennamenti di Melbourne e il precedente annullamento del GP di Cina, è stato finalmente deciso di “saltare” anche le altre due tappe, in Barhain e l’attesissimo Vietnam, in attesa di pianificare un nuovo calendario che, secondo Ross Brown, a questo punto potrebbe contare su 16-17 appuntamenti. Purtroppo, al momento, è solo una mera esercitazione di speranza e ottimismo per due motivi: l’impossibilità di prevedere l’excursus dello sconosciuto Covid-19 e, per l’appunto, l’evoluzione del virus in Gran Bretagna. Mi spiego.

 

GB A RISCHIO PICCO – Le notizie sull’espansione del Coronavirus certificano che attualmente Cina (già in

diminuzione), Corea del Sud e soprattutto Italia e Iran sono i Paesi più colpiti. Inoltre si susseguono le chiusure delle frontiere dei Paesi europei. Nessuno, o quasi, ne è risparmiato e, oltre gli Stati Uniti, ora anche Francia, Spagna e Gran Bretagna cominciano a risentirne pesantemente. Proprio quello che potrebbe succedere nella Terra d’Albione è ciò che può rendere impossibile lo svolgimento del campionato di F1 2020. Oltre Manica ci sono le factory di otto Team su 10, Renault compresa – Ferrari e Alpha Tauri sono in Italia – e nell’isola reale la situazione sembra in progressivo peggioramento.
L’altro ieri, il Primo Ministro Boris Johnson, sulla scorta dei pareri degli esperti, ha illustrato una situazione secondo la quale è destinato ad infettarsi il 60% della popolazione in modo da sviluppare la cosiddetta “immunità di gruppo” per poi uscirne tardi ma relativamente bene. Dunque, lì è da attendersi una recrudescenza del contagio e se ora solo un componente del Team Mc Laren è risultato positivo è quasi logico attendersi altri casi tra le fila delle scuderie con sede britannica, a meno che tutti non osservino un rigoroso letargo in casa. Ma le misure di contenimento da parte del Governo sono partite in ritardo e in molti sono davvero preoccupati per l’entità di quello che potrà succedere, per non parlare della possibilità o meno di poter lasciare il Paese, tutt’altro che garantita nel prossimo futuro. Le ultimissime parlano di possibile quarantena di 4 mesi per tutti gli ultra 70enni. Se, per fare un esempio, Halmut Marko che ha 76 anni,  risiede in Inghilterra, beh non potrà più muoversi. Insomma il bandolo della matassa è nelle mani degli eredi di Sheakespeare e quindi più che mai: F1 o non F1, questo è il problema.

 

UNA “COPPA F1 DEL 70°” ? – E’ un quadro, mi rendo conto, pessimistico ma basato sulle curve di attecchimento del virus con le quali stiamo familiarizzando tutti in questi giorni. Si continua a sperare di poter ripartire da Baku, il 7 giugno (i più ottimisti contano in uno straordinario start 2020 di fine maggio a Montecarlo), ma intanto gli organizzatori di Zandvoort, che hanno già fatto il pienone e investito parecchi soldi per la realizzazione di 2 banking in attesa del veneratissimo idolo locale Verstappen, cominciano a dare segni di nervosismo e chiedono una data certa. Anche da Hanoi non si vorrebbe assolutamente rinunciare alla loro prima volta, dopo che i dispendiosi lavori sono stati completati in gran fretta. Purtroppo niente è certo, questa è la verità. Ovviamente nessuno si augura il peggio, ma se le cose dovessero andar male e la situazione normalizzarsi solo in piena estate o oltre – pensate che sono considerate a rischio anche le Olimpiadi di Tokyo previste dal 24 luglio al 9 agosto – non rimarrebbe che rinviare tutto al 2021, spostando al 2022 l’introduzione del nuovo regolamento e delle nuove monoposto ad effetto suolo. Poi, un’idea: sia pur in extremis si potrebbe mettere in piedi una “Coppa F1 del 70°” magari facendo disputare almeno qualche gara e celebrare così l’importante anniversario oltre a non far riempire solo di polvere le monoposto presentate in febbraio. Dove correre? Io direi: Montecarlo, Silverstone (nel 1950 qui si è corso il primo Gran Premio del neonato campionato di F1), Spa e Monza sono le gare storiche e più affascinanti della F1; Hanoi e Zandvoort sono le new entry che potrebbero così validamente testare i nuovi impianti in attesa di tempi migliori. Per tutti.