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MAURO FORGHIERI 85 ANNI, LA SUA ERA IN UN’INTERVISTA

(12/1/2020) – Domani 13 gennaio 2020 Mauro Forghieri compie 85 anni. L’indimenticabile ingegnere della Ferrari della rinascita e dei grandi successi in F1 dopo anni di digiuno, raggiunge un bel traguardo e oggi è sempre attivo e presente nei contesti che ha frequentato per decenni e che gli sono congeniali, tra addetti ai lavori e operatori dell’informazione. In famiglia e tra amici, come l’anno scorso quando festeggiò il compleanno ad aprile presso il ristorante di Lello Apicella a Maranello. C’è poco da raccontare o scoprire di questo illustre personaggio del motorsport per quanto è ben impressa nella memoria e nei cuori di tutti i ferraristi la sua opera. D’altronde questo blog lo ha già celebrato con vari post.

Leggi: https://motor-chicche.blogspot.com/2015/01/happy-birthday-gli-80-anni-di-mauro.html
Piuttosto ho ritrovato il testo di un’intervista che gli feci nel 2005, quando compì 70 anni e lavorava alla Oral Engineering di Baggiovara (Modena), società di alta progettazione nel settore racing ma anche automotive (e moto!) che aveva fondato insieme a Franco Antoniazzi e Sergio Lugli. Era l’ultimo passaggio dopo le esperienze post Ferrari in Lamborghini e Bugatti. Poche risposte che racchiudono un’era.


Ingegnere, da giovane laureando pensava alle corse, alla Ferrari, dove suo padre aveva già lavorato?
No. Pensi che avrei dovuto lavorare in una fabbrica nautica. Poi, per situazioni di famiglia, si decise di rinunciare. Entrai in contatto con Enzo Ferrari che mi prospettò un’occupazione piacevole, accettai e rimasi definitivamente a Modena.
Quando lei assunse le redini del reparto corse non era la Ferraridi oggi. Si vinceva in altre categorie ma non in F.1. Perché?
Finchè non arrivò la Fiat (1969, ndb) la Ferrari non si disponeva delle risorse finanziarie necessarie per competere ad alto livello anche in F.1. Oggi è tutto centrato sulla massima categoria ma allora c’erano esigenze diverse: ci si cimentava in tanti campionati per guadagnare e sorreggere così la fabbrica. Avevamo nel cassetto perfino il progetto di una quattro ruote motrici. Ferrari non credeva si potessero realizzare certe cose ma l’impedimento fu determinato proprio dall’eccessivo sforzo economico che avrebbe comportato.
A quale sua soluzione o innovazione tecnica, tra le tante, si sente più legato?
In un mondo frenetico e competitivo come quello della F.1 è difficile fare innovazione. E’ più corretto parlare di applicazione al mondo delle corse. Fatta questa precisazione ricordo volentieri il cambio semi-automatico (provato da Villeneuve già a fine 79, ndr) o l’emulsionatore acqua-benzina (poi vietato, ndr) che derivava da alcuni aerei da guerra e che ci tolse da un mare di guai.
E’ quasi leggenda il suo rapporto di amore-odio con Niki Lauda. L’austriaco, lasciata la Ferrari, non ebbe parole tenere nei suoi confronti.
Mi interessano poco le sue parole vendicative. So solo che quando era in Ferrari doveva fare quello che gli dicevo e lo faceva. Dal punto di vista umano non si è dimostrato certo un grande campione e si è visto anche nella sua non felice carriera da dirigente. La vita e lo sport sono due cose diverse. Comunque dopo la sua uscita dalla Ferrari abbiamo mantenuto un buon rapporto, mi veniva a trovare.
A proposito di Lauda: le dà fastidio che a distanza di circa 30 anni qualcuno imputi ancora la causa del drammatico incidente dell’austriaco al Nurburgring ad un cedimento meccanico della sua formidabile 312 T2?
E’ una polemica che lascia il tempo che trova. Purtroppo qualcuno ha sempre voglia di stupirsi o di fare pettegolezzo. Lauda comunque non l’ha mai affermato e poi ci sono le immagini che parlano chiaro. Dico solo che Niki montò ai box le gomme slick e rientrò su una pista lunga circa 22 chilometri in larga parte ancora umida. Allora non c’erano le termocoperte per pre-riscaldare gli pneumatici. In una curva andò in derapata, perse aderenza e colpì violentemente una roccia.
Oggi alla Ferrari prende quota l’ingegner Aldo Costa. Dopo i vari Lampredi, Fraschetti, Chiti, Colombo e lei gli italiani tornano a “firmare” le Ferrari?
Ne sarei contento, mi farebbe davvero piacere. Ma oggi la figura del progettista appare meno che in passato pur meritando enorme rispetto. Apparire è solo un caso della vita.
Oggettivamente, gli ingegneri inglesi che sono arrivati dopo di lei alla guida tecnica del Cavallino hanno segnato una svolta a Maranello o si sono incanalati in un solco già ben definito?
Quella svolta non fu negativa. Io critico certi progettisti inglesi creati più che altro dalla stampa. La nazionalità non ha importanza e vale per tutti. Uno dei nostri grandi difetti è quello di parlare molto degli altri.
Qual è il pilota che avrebbe desiderato su una sua monoposto e mai arrivato?
Semplice: Senna. Io ero riuscito a convincerlo a venire a Maranello. Prima delle mie dimissioni dalla Ferrari lo avvicinai, lui non era soddisfatto della situazione tecnica della sua scuderia. Lo allettai, ci parlammo spesso. Era molto simpatico e alla fine mi disse che accettava di venire con noi. Era fatta. Peccato che qualcuno, all’interno della scuderia, appreso della sua disponibilità, pensò invece di far firmare subito il nuovo contratto ai piloti di allora…
Infine, l’ addio alla Scuderia dei sogni e le nuove storie alla Lamborghini Engineering e poi alla Bugatti. Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita così.
Ormai non condividevo più il modo di imporre un’organizzazione. Non potevano comandare 30 persone: è un sistema che non funziona. Ferrari era al suo tramonto, impossibile discutere con lui. Lasciai e passai alla Chrysler. Quando ho visto, anni dopo, che Montezemolo, nuovo presidente Ferrari, si affidava ad un solo organizzatore e ad un capo tecnico capii che era su una buona strada. Poi è venuto anche un investimento difficilmente ripetibile: Michael Schumacher.

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TEAM CORAGGIOSI 3 / FORTI CORSE, F1 SOGNO DI BREVE DURATA (1995/96)

(11/1/2020) – Il giorno della presentazione della Forti F1, il 31 gennaio 1995 (25 anni fa) all’Hotel Principe di Savoia di Milano, il vostro blogger c’era. Il dado era tratto: Guido Forti aveva deciso per il grande salto e quindi la partecipazione al campionato di F1 1995, terza scuderia in pista dopo Ferrari e Minardi. Si respirava entusiasmo: il background tecnico era di spessore, i piloti prescelti Diniz e Moreno un mix di gioventù ed esperienza, i capitali di tutto rispetto. Quella mattina era presente anche il Direttore Generale del Gruppo Parmalat, Domenico Barili: il logo dell’azienda parmense – i soldi li metteva la Parmalat Brasile – era infatti ben presente sulle fiancate della gialla monoposto. “E quando c’è questo logo, si vince!”, esclamò Barili riferendosi alla più che fortunata esperienza con la Brabham e al mitico cappellino rosso di Niki Lauda. Sfortunatamente, questa volta non andò proprio così.

Forti era un grande e genuino appassionato, ma anche un vincente. Aveva fondato la Forti Corse nel 1977 nella sua Alessandria vincendo subito la F2000 italiana con Teo Fabi. Il subitaneo passaggio alla F3 sudamericana laureò Larrauri campione, l’Europeo non portò allori mentre a livello tricolore l’affermazione fu netta a fine anni ’80 con  i vari Forini, Bertaggia, Naspetti e Morbidelli e il pesarese campione anche Europeo. Da qui, l’ulteriore scalata: la F3000 nella quale i successi non mancarono ma mai il titolo. Nell’ultimo periodo, arrivò il brasiliano Pedro Paolo Diniz, forte di un favoloso patrimonio di famiglia (supermercati disseminati in tutto il Brasile) mentre Pablo Gancia legato al pilota rilevò le quote del primo e storico socio di Forti, Carlo Guerci, ponendo le basi dello sbarco in F1. Il “ballottaggio” tra Scalabroni e Rinland per la progettazione della monoposto italiana FG01-95 fu vinto dal secondo mentre il piemontese ingegner Giorgio Stirano, esperienza alla Osella F1, fu designato Direttore Sportivo. Proprio lui, si è appreso negli anni, rilevò una incongruenza che sarebbe stata “fatale”: non c’era traccia di accordi scritti con la munifica famiglia Diniz. La vettura, gradevole nell’estetica e nei lineamenti, si rivelò però subito problematica. Motore Ford Cosworth, cambio manuale ad H e la poca efficienza aerodinamica ne penalizzarono fortemente le prestazioni. All’esordio, il Gp del Brasile del 26 marzo 1995, le due Forti si qualificarono nelle retrovie e in gara, falcidiata dai ritiri, Diniz si classificò 7° a sette giri. Seguirono tanti ritiri, un clima interno fattosi pesante e la trattativa per sostituire Moreno con il giapponese Noda (operazione non riuscita), fino al contentino del 7° posto sempre di Diniz nell’ultima gara ’95 in Australia. A fine stagione il brasiliano, deluso e allettato da orizzonti più gloriosi, passò armi e bagagli (leggi soldoni) alla Ligier mettendo in grossa difficoltà il Team.

Si andò avanti con l’ingaggio di due italiani talentuosi come Badoer e Montermini nonché di Cesare Fiorio quale Team manager. La nuova monoposto FG03, progettata da Stirano – che subito dopo fece i bagagli – in collaborazione con Chris Radage, venne pronta solo a Imola dove Badoer colse il miglior risultato stagionale: 10°. Sembrò una ventata di positività poiché la vettura, con una nuova livrea, si dimostrò più guidabile e veloce ed inoltre subentrò un nuovo azionista, la irlandese Shannon Racing. La situazione era però troppo deteriorata e l’introduzione della regola capestro del 107%  nonchè la duplice ennesima non qualifica al Gp di Gran Bretagna segnarono la fine del sogno e il ritiro dalla massima formula. Bandiera bianca. Sette anni fa, l’11 gennaio 2013, Guido Forti è mancato.

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TEAM CORAGGIOSI 2 / MINARDI F1, UNA STORIA INZIATA NEL 1985 IN BRASILE

(10/1/2020) – Quest’anno Minardi festeggia i 35 anni dal debutto in F1: era il 7 aprile 1985 quando la monoposto allestita a Faenza prese parte per la prima volta ad un gran premio, quello del Brasile a Rio de Janeiro con Pier Luigi Martini alla guida. “Il momento più bello di tutta la storia Minardi”, dirà il mitico patron Giancarlo che aveva sognato, accarezzato, preparato quel momento forse dal primo momento in cui era entrato nel mondo delle corse e cioè dal 1972 quale componente del triumvirato che gestiva la Scuderia del Passatore impegnata allora nel campionato di F. Italia vinto nel 1973 con Giancarlo Martini (per inciso, nel 1974 il Drake in persona affidò a Minardi una Ferrari B3 per svezzare giovani italiani).

In Brasile, la Minardi ci arrivò un po’ col fiatone. Al Jacarepaguà, il pilota Pierluigi Martini si qualificò in ultima posizione e poi dovette ritirarsi al 41° giro per problemi al motore ma l’importante era essere riusciti a completare l’assemblaggio della vettura e avviare la complessa macchina organizzativa che una simile operazione richiedeva. Un’emozione trasformata in passione e quindi in dedizione al lavoro: durò fino al 2005, anno della cessione al magnate australiano Paul Stoddart.

DALLA F2 ALLA F1 – La decisione di sbarcare nella massima formula fu presa nel 1984 dopo anni di militanza ed esperienza accumulata in F2 prima sotto l’egida della Scuderia del Passatore, poi Scuderia Everest e dal 1980, per la prima volta, come Minardi Team, con una monoposto costruita in proprio. Fu la svolta. Certo, si annoverò un solo successo, quello indimenticabile di un certo Michele Albereto a Misano, ma l’attrazione della F1 fu più forte delle prevedibili difficoltà per un piccolo team con limitate risorse finanziarie. Giancarlo Minardi, affiancato dall’ingegner Giacomo Caliri e dalla Fly Studio di Luigi Marmiroli, si attivarono per allestire la prima monoposto da F1, inizialmente denominata M184. Il motore? Minardi ebbe “l’ardire” di chiedere il propulsore Alfa Romeo direttamente al presidente dell’epoca, Massaccesi. Che accettò. Peccato che all’improvviso quell’accordo svanì costringendo il team faentino all’unica alternativa immediatamente disponibile e cioè il classico Ford Cosworth aspirato by Mader. Almeno fino al Gp di San Marino, quando invece sulla modificata M185 venne alloggiato il 6 cilindri turbo Motori Moderni, frutto dell’ingegno di Carlo Chiti (l’azienda era stata costituita dal socio di Minardi, Piero Mancini). All’inizio non mancarono i problemi anche in fatto di piloti: il prescelto Alessandro Nannini non raggiunse i requisiti per ottenere la Super Licenza e al suo posto subentrò il sempre veloce e affidabile Pierluigi Martini. Un inizio emblema dei 20 anni di più che onorata partecipazione al Circus della F1 ma il ricordo del debutto brasiliano ancora inebria la mente di Minardi: “Quel momento ha rappresentato, allo stesso tempo, il coronamento e la partenza di un sogno”.

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TEAM CORAGGIOSI 1 / OSELLA, NEL 1980 VIA ALL’AVVENTURA F1

(9/1/2020) – Il 21 dicembre del 1979, in un hotel di Milano, partiva la coraggiosa avventura del terzo costruttore italiano in Formula 1 dopo Ferrari e Alfa Romeo.  Per la stagione 1980 veniva presentata l’Osella FA1, la monoposto con la quale Enzo Osella, allievo di Carlo Abarth, traduceva in realtà, 40 anni fa, la sua massima ambizione dopo anni di onorata militanza nelle categorie Salita (le sue vetture Sport hanno spopolato), tentativi meno fortunati in F3, F. Ford e la bella esperienza in F2. Con lui, il progettista ingegner Giorgio Stirano, il pilota prescelto Eddie Cheevere il Direttore Sportivo Joe Palazzoli; sede e capannone a Volpiano, alle porte di Torino.

Fu proprio l’emozionante partecipazione al campionato europeo di F2 1979 a fornire l’ultima spinta emozionale e tecnica verso il traguardo della F1. I tre successi di Cheever, che lo tennero in lizza fino all’ultimo per la vittoria finale (vinse Surer), corroborarono l’intenzione di affrontare anche la sfida di vertice. Ma non fu un salto nel buio: i ranghi tecnici erano di livello, il pilota “americano di Roma” (allora 21 anni) tra i più promettenti e non mancavano le risorse finanziarie, tra Denim (che significava Unilever) e le sigarette MS, i Monopoli di Stato (la cosa suscitò anche polemiche). Molto elegante ed accattivante la livrea blu e bianca.

L’approccio fu volutamente non rivoluzionario, per quanto la FA1 si presentasse con un’aerodinamica molto pulita (solo in seguito, tra l’altro, sarebbe stata sfruttata la galleria del vento Pininfarina). Ci si adeguò agli dettami vigenti (Ferrari, Lotus e Williams sugli scudi) e alla tradizione della F1:  wing car, carrozzeria in kevlar, motore Cosworth 8 cilindri, cambio Hewland e gomme Good Year. Lo shake down avvenne a Misano mentre già si parlava dell’allestimento di una seconda monoposto per Piercarlo Ghinzani o Beppe Gabbiani e dell’interessamento addirittura di Giacomo Agostini (che poi sarebbe approdato in Formula Aurora).

Il debutto, già il 13 gennaio 1980, non fu però dei più felici. La vettura, troppo pesante e con vari difetti di componentistica gioventù, non si qualificò (ultimo tempo, 24 le monoposto ammesse in griglia) e il copione si ripetè 15 giorni dopo in Brasile. Andò meglio in Sudafrica e a Long Beach dove però Cheever dovette ritirarsi per poi conseguire altre due non qualifiche e ben sette ritiri. Unico “raggio di sole” in casa, a Imola, per il GP d’Italia: 17° in qualifica e 12° in gara, a tre giri dal vincitore Piquet su Brabham. A Volpiano, comunque, non ci si arrese certamente e si lavorò alacremente per migliorare. Sulle monoposto italiane si avvicendarono, tra gli altri, piloti come Jarier, Danner, Caffi, Tarquini, Larini. Proprio il francese Jarier è stato autore del miglior piazzamento: quarto, ma nel famoso GP di San Marino 1982 – quello del duello fratricida Villeneuve-Pironi – senza molti team inglesi; sempre in quell’anno il povero Riccardo paletti rimase vittima dell’incidente alla partenza del Gp del Canada. Da segnalare due quinti posti nel 1984 con  Ghinzani a Dallas e Gartner a Monza ma, nonostante il passaggio al motore Alfa Romeo, la situazione non si sollevò mai oltre un certo limite fino all’anno di addio, il 1990, e alla conseguente cessione di tutto il materiale alla Fondmetal. Dieci anni vissuti intensamente: a Enzo Osella, che nel 2019 ha compiuto 80 anni, un grazie per la passione che ci ha messo e che tuttora lo anima.
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HAPPY BIRTHDAY / HAMILTON 35 ANNI E NUOVI RECORD DA BATTERE

(7/1/2020) – Oggi Lewis Hamilton compie 35 anni, auguri al campione di Stevenage che già oggi è leggenda della F1 ma che intende battere altri record. E’ il “number 1”della categoria regina del motorsport e ovviamente le nuove leve hanno nel mirino lui. Chi riuscirà a metterlo dietro porrà fine ad un dominio finora semi-incontrastato – 6 titoli mondiali negli ultimi 12 anni, solo l’epopea Red Bull e Nico Rosberg gli hanno tolto qualcosa – e potrà impugnare lo scettro regale, un po’ come fece Alonso interrompendo la striscia positiva di Michael Schumacher nel 2005-2006. Soprattutto nell’ultima stagione Hamilton ha risposto un po’ stizzito a chi lo contrapponeva in veste di driver datato ai giovani rampanti della categoria. “Ma io sono ancora giovane!”, ha risposto agli intervistatori dimostrando di accettare senza timore il confronto e facendo capire di voler continuare ancora a lungo. D’altronde, per fare solo qualche esempio, Andretti e Prost si laurearono campioni a 38 anni per non parlare di Fangio iridato per l’ultima volta a 46 anni. Non deve comunque prendersela: c’è una chiara differenza anagrafica tra il campione inglese nato nel 1985 e, per esempio, gli arrembanti Charles Leclerc e Max Verstappen, entrambi classe 1997, o i connazionali Norris che è del 1999 e Russell del 1998, che sono i più accreditati, prima o poi, a intraprendere questa sfida emozionante per la supremazia. La sua maturità, che cresce di stagione in stagione, unita al talento e all’esperienza (debutto Gp Australia 2007), alla curiosità che lo mantiene sempre motivato e, non ultima, a quella scaltrezza di cui fa largo uso, necessaria in un ambiente così competitivo, gli consentiranno certamente di fronteggiare a dovere l’assalto. Beh, se poi la Mercedesgli fornirà una monoposto ancora una volta spaziale il compito gli sarà facilitato…

Il 2020 è per lui un anno cruciale. Andiamo al sodo: gli scade il contratto che lo lega all’armata Mercedes e le attenzioni della Ferrari lo lusingano. Che fare? Toto Wolff, in recenti dichiarazioni, ha già fatto capire che sarà questo il tema della stagione. Il Team principal capisce le legittime, personali aspirazioni del pilota e, nello stesso tempo, si guarda intorno a caccia di un nuovo talento. In sostanza: Lewis decida liberamente e presto perché noi dobbiamo correre ai ripari. Sfumato Verstappen, che ha firmato ancora per Red Bull, gli obiettivi sono Vettel, il cui passaporto tedesco è sempre molto gradito a Stoccarda, e la promessa Russell. Dopo Melbourne, Hamilton comincerà a capire i valori in campo e ad “ascoltare” radio box sui movimenti degli avversari: un turbinio di sensazioni e contatti che avrà inizio molto presto in vista della stagione di svolta regolamentare 2021. Sa bene che occorre una monoposto competitiva in maniera costante e quindi non prenderà decisioni affrettate. The challenge è il suo pane ma deve essere sicuro di potersi mettere seduto comodo a tavola e questo, finora, nessuno glielo garantisce meglio della Mercedes. Valuterà, ma intanto gli interessa molto raggiungere o battere nuovi record. Per la precisione, i record di Michael Schumacher. Dopo aver scalzato il Kaiser dalla vetta del maggior numero di pole position (88 a 68), quest’anno Lewis può issarsi al comando anche della classifica vittorie: Schumi è fermo a quota 91, il pilota inglese riparte da 84. Ma, soprattutto, può eguagliare il numero di titoli mondiali vinti: sembrava impossibile e invece il bottino stratosferico di 7 titoli mondiali finora ad appannaggio dell’ex ferrarista è lì a portata di…musetto argentato. Ovviamente, dal 2021 l’obiettivo sarebbe quello di diventare leader solitario di questa speciale classifica che proietta davvero nella storia. Riuscirci con la Ferrari (a digiuno dal 2007) sarebbe una goduria pazzesca.

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HAMILTON, LECLERC, VERSTAPPEN: CHI COME SENNA?

(6/1/2019) – Quest’anno, il 21 marzo, Ayrton Senna avrebbe compiuto 60 anni. Magic ha lasciato un’impronta profondissima nella F1, sia per le sue fulgide qualità di guida, sia per il suo forte carisma. Dall’anno della sua scomparsa a Imola, ci si continua a chiedere: chi è il suo erede? Quale pilota ricorda di più l’asso brasiliano? A tal riguardo si sono espressi in tanti, tra addetti ai lavori e tifosi. Ebbene, oggi la cerchia sembra ormai ristretta a tre super driver: Hamilton, Verstappen e Leclerc.  Tutti, hanno dichiarato di essersi ispirati al tre volte campione del mondo, nel loro approccio al mondo delle corse.Dei tre conosciamo bene numero di vittorie, caratteristiche di guida, personalità. Qualità che indubbiamente in qualche modo possono avvicinarli al grande Senna.

Un autorevole responso lo ha dato la famiglia stessa di Ayrton che, in occasione delle qualifiche del Gran Premio del Canada 2017, conferì a Hamilton, che aveva appena eguagliato il record di pole position, una replica del casco appartenuto al pilota di San Paolo. La sorella Viviane nel 2014 dichiarò che  Lewis gli ricordava molto il fratello in quanto “veloce, audace e molto determinato”.
Gerhard Berger è uno che ha conosciuto bene Senna, oltre ad essere persona che pesa con cura le sue dichiarazioni.  In diverse interviste però si è “sciolto”: per quanto restìo a fare paragoni l’ultimo Hamilton gli ricorda l’amico brasiliano perché lo ritiene, al pari, un pilota veloce, completo e dotato di forte personalità. A dire il vero, la sensazione di aver rivisto in pista Ayrton l’aveva già cullata. Ricordate il Gran Premio bagnato del Brasile 2016? In quella gara Verstappen fece davvero meraviglie – sorpassi pazzeschi – su una pista già difficile di per sé e resa ancora più difficile dall’asfalto reso viscido. Da manuale, poi, come riuscì ad evitare l’impatto con il guard rail dopo aver perso e ripreso il controllo della sua Red Bull. L’austriaco, colpito da tanta forza d’animo, non riuscì a non pensare alle imprese dell’ex team mate brasiliano, autentico re del bagnato.

L’ultimo arrivato è il ferrarista Charles Leclerc che, guarda caso, dopo il primo anno in Sauber –Alfa nel 2019 è stato autore di 7 pole position esattamente tante quante ne fece segnare Ayrton al primo anno con una monoposto finalmente competitiva (la Lotus nel 1985). Il monegasco è veloce e deciso, vive di gran premi, pensa solo alla vittoria, in pista è sempre protagonista: vi ricorda qualcuno? L’ex TP Ferrari, Arrivabene, che ne ha sempre sostenuto il percorso verso un volante da titolare in Ferrari, parlandone con i collaboratori, non esitò a paragonarlo a Senna. Dopo il trionfo a Monza, anche Jean Alesi ne ha decantato le doti in frenata e, in particolare, quella sua cattiveria elegante che gli ha ricordato, per l’appunto, Magic (col quale lui fu protagonista di un grande e corretto duello a Phoenix nel 1990). 
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ALFA ROMEO ORLEN, ANNO AD ALTA PRESSIONE E TENSIONE

(2/1/2020) – Il primo “colpo” della stagione è della Alfa Romeo Racing, pardon, Alfa Romeo Racing Orlen dal nome del colosso petrolifero polacco con il quale è stata ordita una complessa operazione che ha il pregio di mantenere in F1 Robert Kubica, con il ruolo di pilota di riserva della scuderia capitanata da Vasseur. Il team principal è stato chiaro con i suoi tecnici e piloti: i programmi sono ambiziosi e pluriennali, la posizione minima richiesta è il sesto/settimo posto nella classifica Costruttori. In un momento in cui si apprende che la permanenza di Giovinazzi, dopo il fuori pista di Spa, è stata in bilico e nell’anno del 41° compleanno di Raikkonen la cosa suona piuttosto perentoria. 

Kubica, dopo il disastroso anno in Williams (certo non per colpa sua), potrebbe aver voglia di far vedere che è molto di più di quanto saggiato nel corso del 2019 e, chissà, potrebbe essergli concessa una chance. Ericsson è sempre lì che attende un possibile rientro dopo aver concesso di malavoglia il sedile all’italiano sull’altare dell’operazione Alfa Romeo. L’accordo con la PKN Orlen, inoltre, prevede lo svezzamento di giovani piloti del vivaio polacco, per dare un giorno un erede al sempre amatissimo Kubica. Insomma, una situazione in piena evoluzione che metterà pressione ai titolari chiamati di conseguenza a saper gestire al meglio la lunga stagione che però presumibilmente già a metà calendario dovrà trovare la quadra per il 2021 (Vasseur conferma che il trinomio Sauber/Alfa Romeo/motore Ferrari è sottoscritto fino alla prima stagione con le nuove monoposto compreso).

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RACING 2020, IL PROGRAMMA DI GENNAIO

(2/1/2020) A poco, a poco i motori tornano ad accendersi in vista di una stagione 2020 davvero interessante su tutte le piste del mondo. In attesa, solo per restare alla F1 che celebra i 70 anni di campionato, del GP numero 1000 della Ferrari e del possibile record di 7 titoli mondiali di Lewis Hamilton in coabitazione con Michael Schumacher, cominciamo a riscaldarci con i primi appuntamenti in programma già in questo mese di gennaio. Dalla prima esperienza di Fernando Alonso alla Dakar – a sua volta per la prima volta in Medio Oriente – alle classicissime 24 Ore di Daytona e Rally di Montecarlo, dagli auto/bike/motor show di Birmingham (Leclerc guest star domenica 12), Bruxelles e Verona, fino alla Formula E nel lontano Cile e al karting targato WSK, ce n’è per tutti i gusti. 

Ecco dunque il calendario con i principali eventi GENNAIO 2020


4-6/1 >> Roar before 24 Hours of Daytona
5-17/1 >> Dakar (con Alonso). Arabia Saudita
9-12/1 >> The Racing Show. Autosport international. Birmingham
10/1 >> 24 Hours Dubai. 24 H Series
10-19/1 >> Bruxelles Motor Show
12/1 >> Charles Leclerc al Racing Show di Birmingham
16-19/1 >> Motor Bike Expo. Fiera Verona
16-18/1 >> Arctic Eapland Rally (con Bottas). Rovaniemi. Finlandia
18-19/1 >> Test WSK. Adria circuit
18/1 >> Formula E. Santiago del Cile
23-26/1 >> Rally di Montecarlo. First round WRC
25-26/1 >> 24 Hours of Daytona
25-26/1 >> WSK Champions. Adria circuit