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MAURO FORGHIERI 85 ANNI, LA SUA ERA IN UN’INTERVISTA

(12/1/2020) – Domani 13 gennaio 2020 Mauro Forghieri compie 85 anni. L’indimenticabile ingegnere della Ferrari della rinascita e dei grandi successi in F1 dopo anni di digiuno, raggiunge un bel traguardo e oggi è sempre attivo e presente nei contesti che ha frequentato per decenni e che gli sono congeniali, tra addetti ai lavori e operatori dell’informazione. In famiglia e tra amici, come l’anno scorso quando festeggiò il compleanno ad aprile presso il ristorante di Lello Apicella a Maranello. C’è poco da raccontare o scoprire di questo illustre personaggio del motorsport per quanto è ben impressa nella memoria e nei cuori di tutti i ferraristi la sua opera. D’altronde questo blog lo ha già celebrato con vari post.

Leggi: https://motor-chicche.blogspot.com/2015/01/happy-birthday-gli-80-anni-di-mauro.html
Piuttosto ho ritrovato il testo di un’intervista che gli feci nel 2005, quando compì 70 anni e lavorava alla Oral Engineering di Baggiovara (Modena), società di alta progettazione nel settore racing ma anche automotive (e moto!) che aveva fondato insieme a Franco Antoniazzi e Sergio Lugli. Era l’ultimo passaggio dopo le esperienze post Ferrari in Lamborghini e Bugatti. Poche risposte che racchiudono un’era.


Ingegnere, da giovane laureando pensava alle corse, alla Ferrari, dove suo padre aveva già lavorato?
No. Pensi che avrei dovuto lavorare in una fabbrica nautica. Poi, per situazioni di famiglia, si decise di rinunciare. Entrai in contatto con Enzo Ferrari che mi prospettò un’occupazione piacevole, accettai e rimasi definitivamente a Modena.
Quando lei assunse le redini del reparto corse non era la Ferraridi oggi. Si vinceva in altre categorie ma non in F.1. Perché?
Finchè non arrivò la Fiat (1969, ndb) la Ferrari non si disponeva delle risorse finanziarie necessarie per competere ad alto livello anche in F.1. Oggi è tutto centrato sulla massima categoria ma allora c’erano esigenze diverse: ci si cimentava in tanti campionati per guadagnare e sorreggere così la fabbrica. Avevamo nel cassetto perfino il progetto di una quattro ruote motrici. Ferrari non credeva si potessero realizzare certe cose ma l’impedimento fu determinato proprio dall’eccessivo sforzo economico che avrebbe comportato.
A quale sua soluzione o innovazione tecnica, tra le tante, si sente più legato?
In un mondo frenetico e competitivo come quello della F.1 è difficile fare innovazione. E’ più corretto parlare di applicazione al mondo delle corse. Fatta questa precisazione ricordo volentieri il cambio semi-automatico (provato da Villeneuve già a fine 79, ndr) o l’emulsionatore acqua-benzina (poi vietato, ndr) che derivava da alcuni aerei da guerra e che ci tolse da un mare di guai.
E’ quasi leggenda il suo rapporto di amore-odio con Niki Lauda. L’austriaco, lasciata la Ferrari, non ebbe parole tenere nei suoi confronti.
Mi interessano poco le sue parole vendicative. So solo che quando era in Ferrari doveva fare quello che gli dicevo e lo faceva. Dal punto di vista umano non si è dimostrato certo un grande campione e si è visto anche nella sua non felice carriera da dirigente. La vita e lo sport sono due cose diverse. Comunque dopo la sua uscita dalla Ferrari abbiamo mantenuto un buon rapporto, mi veniva a trovare.
A proposito di Lauda: le dà fastidio che a distanza di circa 30 anni qualcuno imputi ancora la causa del drammatico incidente dell’austriaco al Nurburgring ad un cedimento meccanico della sua formidabile 312 T2?
E’ una polemica che lascia il tempo che trova. Purtroppo qualcuno ha sempre voglia di stupirsi o di fare pettegolezzo. Lauda comunque non l’ha mai affermato e poi ci sono le immagini che parlano chiaro. Dico solo che Niki montò ai box le gomme slick e rientrò su una pista lunga circa 22 chilometri in larga parte ancora umida. Allora non c’erano le termocoperte per pre-riscaldare gli pneumatici. In una curva andò in derapata, perse aderenza e colpì violentemente una roccia.
Oggi alla Ferrari prende quota l’ingegner Aldo Costa. Dopo i vari Lampredi, Fraschetti, Chiti, Colombo e lei gli italiani tornano a “firmare” le Ferrari?
Ne sarei contento, mi farebbe davvero piacere. Ma oggi la figura del progettista appare meno che in passato pur meritando enorme rispetto. Apparire è solo un caso della vita.
Oggettivamente, gli ingegneri inglesi che sono arrivati dopo di lei alla guida tecnica del Cavallino hanno segnato una svolta a Maranello o si sono incanalati in un solco già ben definito?
Quella svolta non fu negativa. Io critico certi progettisti inglesi creati più che altro dalla stampa. La nazionalità non ha importanza e vale per tutti. Uno dei nostri grandi difetti è quello di parlare molto degli altri.
Qual è il pilota che avrebbe desiderato su una sua monoposto e mai arrivato?
Semplice: Senna. Io ero riuscito a convincerlo a venire a Maranello. Prima delle mie dimissioni dalla Ferrari lo avvicinai, lui non era soddisfatto della situazione tecnica della sua scuderia. Lo allettai, ci parlammo spesso. Era molto simpatico e alla fine mi disse che accettava di venire con noi. Era fatta. Peccato che qualcuno, all’interno della scuderia, appreso della sua disponibilità, pensò invece di far firmare subito il nuovo contratto ai piloti di allora…
Infine, l’ addio alla Scuderia dei sogni e le nuove storie alla Lamborghini Engineering e poi alla Bugatti. Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita così.
Ormai non condividevo più il modo di imporre un’organizzazione. Non potevano comandare 30 persone: è un sistema che non funziona. Ferrari era al suo tramonto, impossibile discutere con lui. Lasciai e passai alla Chrysler. Quando ho visto, anni dopo, che Montezemolo, nuovo presidente Ferrari, si affidava ad un solo organizzatore e ad un capo tecnico capii che era su una buona strada. Poi è venuto anche un investimento difficilmente ripetibile: Michael Schumacher.

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