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Mese: Ottobre 2019
(14/10/2019) – Si svolgeranno questo pomeriggio alle ore 15 i funerali di Nanni Galli, morto sabato all’età di 79 anni dopo una lunga malattia. Le esequie si terranno in Cattedrale a Prato, città che lo aveva adottato – era nato a Bologna – e della quale era diventato una personalità di primo piano per la sua importante attività nel campo dell’industria tessile ereditata dai genitori (tra l’altro, era licenziatario del marchio Fruit of the Loom). Nonostante condizioni di vita agiate e l’opposizione del padre, Giovanni Giuseppe Gilberto – questo il vero nome – fu attratto dalle corse automobilistiche ed è uno dei piloti italiani riusciti a guidare una F1. Per lui il trampolino di lancio, dopo i kart e le vetture Turismo, fu l’Autodelta del toscanaccio Carlo Chiti che intese fornirgli un’occasione: nel 1970 debuttò nella massima formula al volante di una Mc Laren motorizzata Alfa Romeo ma l’impresa si concluse in una mancata qualificazione a Monza. Nel 1971 la bolognese Tecno, reduce dal trionfo in F2 con Regazzoni, allestì un ambizioso team di F1 e Nanni Galli – dopo un assaggio infruttifero di March – fu chiamato insieme all’inglese Derek Bell a farne parte.
L’esordio il 4 giugno 1972 nel GP del Belgio a Nivelles e toccò proprio a Galli, all’epoca 30 anni, inconfondibile col suo casco giallo su telaio color rosso, l’onore e l’onere di portarla per la prima volta in pista. Penultimo tempo in qualifica, davanti ad un giovane e sconosciuto Niki Lauda, peggio in gara: doppiatissimo, si toccò con Regazzoni causando il duplice ritiro. Solo due settimane dopo un terzo posto! Si trattava, però, del Gran Premio della Repubblica Italiana, gara disputatasi a Vallelunga non valida per il mondiale e con una manciata di iscritti. Le cose evolvevano: al successivo Gp di Francia il tosco-bolognese venne ingaggiato dal Drake per guidare la Ferrari orfana di Regazzoni che si era fratturato un braccio durante una partita di calcio. Per la verità non riuscì nemmeno a prendere il via della corsa per guai tecnici e poi il resto della stagione fu solo un calvario con la Tecno che pure mise in pista pure una versione rinnovata, la PA 123/4. Altra esperienza nel 1973 con la Iso by Frank Williams non sortì novità a livello di risultati e quella fu l’ultima apparizione in F1. Amico dei Benetton, ne incentivò lo sbarco in F1, prima come sponsor di Alboreto.
Un sodalizio, quello con la Tecno, davvero stretto: la Casa bolognese fa oggi parte della Montecarlo Engineering dell’ex pilota Fulvio Maria Ballabio. Ebbene, al Salone di Parigi fu presentata la Tecno Nanni galli VB Ecoracing alimentata solo a Gpl e motorizzata Alfa Romeo da 4.7 litri. Al Mugello, Galli aveva guidato ancora la Tecno GT W12 nella categoria Endurance del Campionato Italiano Energie Alternative. Pilota nell’anima, ci mancherà. Addio Nanni.
(14/10/2019) – Il tribolato Gran Premio del Giappone ha fornito molte chiavi di lettura, soprattutto per il 2020 e oltre. Bottas è stato più forte di Hamilton in qualifica e in gara il finlandese è alla sua sesta vittoria in F1 – la Ferrari deve lavorare ancora un po’ sul passo gara ma le potenzialità della SF90, salvo errori dei due piloti Vettel e Leclerc…, sembrano ottime. La Red Bull , in terra Honda, doveva toccare il picco prestazionale ma è risultata troppo lontana dai due top team anche se consola la brillante e coriacea prestazione di Albon, pari a Verstappen in prova e volitivo in gara. Consideriamo questi risultati delle proiezioni e vediamo cosa possono significare dato che, realisticamente, per Hamilton la formalità di aggiungere il sesto (!) massimo sigillo alla sua carriera in F1 è solo rimandata di poco.
Proprio Lewis getta la palla già nel 2020: “La Ferrari è molto forte e si pensa che l’anno prossimo le monoposto saranno sostanzialmente le stesse avremo una grande sfida fin dall’inizio del campionato”. Le due Scuderie, a partire da Spa, sono in rapporto di equilibrio. A Suzuka il campione Mercedes, proprio come a Monza con Leclerc, dopo l’ultimo pit stop non è riuscito a superare Vettel, nonostante lo abbia raggiunto molto velocemente, e si è dovuto accontentare del terzo posto. Sulla scorta degli ultimi risultati è dunque ragionevole pensare, salvo stravolgimenti, che la sua previsione si avvererà: il Gran Premio d’Australia 2020 non sancirà un distacco di 30 secondi (vedi ultimo GP a Melbourne) tra le Silver Arrows e le Rosse di Maranello che se la giocheranno alla pari o quasi. Piuttosto, la situazione si presenta parecchio critica in fatto di gestione piloti. Le frizioni (umane) Ferrari sono note ma dopo le ultime intemperanze Binotto è intervenuto per riportare calma e chiarezza. La situazione si ripropone in Mercedes che a Suzuka, ha dovuto “inventarsi” un ultimo probabilmente evitabile pit-stop per Hamilton – l’inglese ha elegantemente glissato in sede di commenti – per non innescare una crisi con Bottas che aveva dominato la gara ma rischiava di ritrovarsi dietro. L’anno prossimo il finlandese dovrà ancora una volta lottare per sopravanzare il compagno di squadra e guadagnarsi l’ennesimo contratto mentre Hamilton darà tutto per eguagliare il record di titoli, sette, che appartiene a Michael Schumacher. Nello stesso tempo, però, presto partirà il tormentone sul rinnovo del suo contratto in scadenza: cosa vorrà fare l’inglese? Ha già detto di voler continuare ancora per qualche anno e di sentirsi molto attaccato alla Scuderia che gli ha permesso di diventare leggenda ma… Ma il sogno Ferrari, soprattutto con una Ferrari ritrovata, è duro a svanire e probabilmente l’inglese presterà molta attenzione alle voci di mercato rivenienti dalla sponda italiana (cosa intende fare Vettel, anche lui in scadenza di contratto?). Qui, ragazzi, potrebbe aprirsi un giro davvero vorticoso, se si tiene presente che Max Verstappen comincia a mostrare segni di fine pazienza con una Red Bull costretta a rincorrere. Magari nel 2021 succede che Hamilton passa in Ferrari, Max alla corte di Toto Wolff e Vettel torna dagli amici di Milton Keynes. E Leclerc? Nonostante le ultime battute d’arresto, la sua stella rimane assai luminosa ma se vuole essere al top deve riuscire a dominare la sua irruenza agonistica.
NEL CAMPIONATO “DEGLI ALTRI”
(11/10/2019) – Naoki Yamamoto ha avuto la sua opportunità: nel rainy week end di Suzuka è sceso in pista nellaFP 1 al volante della Toro Rosso al posto di Gasly. Un’emozione che, forse, a 31 anni – è nato il 7 novembre – non pensava più di poter provare. Invece, la Honda – sempre molto concreta nell’offire chance ai piloti dagli occhi a mandorla – ha ottenuto questa gratificazione per il suo pilota di punta in Superformula e credo che la giornata che in Giappone va già a terminare non sarà dimenticata facilmente dal campione 2018 della categoria giapponese che lo vede anche nel 2019 leader con il Docomo Team Dandelion Racing. Per la cronaca, si è classificato 17° a soli 98 millesimi dal compagno di squadra ben più a suo agio con la STR19. Da buon professionista, Naoki si è detto non molto soddisfatto della sua performance – in primis ha dovuto effettuare alcune regolazioni – ma soprattutto è rimasto impressionato dalla potenza delle attuali F1. Tanti cavalli, ha ammesso, non li ha mai avuti alle sue spalle. Nello stesso tempo, dalla sua ha avuto la perfetta conoscenza del circuito che probabilmente potrebbe percorrere anche a occhi chiusi tanti sono i giri che ha effettuato nel corso della sua carriera (ha vinto in coppia con Button anche il campionato SuperGT). Nel 1992, sempre a Suzuka, assistette inoltre per la prima volta ad un Gran premio di F1 (quell’anno vinse Patrese su Williams) e diventò il suo sogno.
Detto questo, la domanda è: Yamamoto può avere un futuro in F1? Nella bagarre red Bull/toro Rosso per un sedile 2020 ha una chance? L’impressione è che lui voglia giocarsela, d’altronde cosa ha da perdere? La Honda, partner di Marko & C., tifa ovviamente per lui ma dalla F2 – dove attualmente è sesto con il Team Carlin – bussa alle porte della F1 anche il 26enne Matsushita. Una cosa è certa: una terra come il Giappone, al top per tradizione motoristica e ardore dei fans, dovrebbe essere rappresentata nella massima formula. Dieci anni fa esatti, l’infortunio di Glock – allora alla Toyota – nelle qualifiche proprio di Suzuka, aprì le porte della F1 a Kamui Kobayashi (oggi 33 anni) che dopo un promettente esordio e il passaggio alla Sauber terminò la sua carriera avara di soddisfazioni alla Catheram nel 2014. Vedremo se quanto successo oggi a Suzuka riaprirà la porta che, stabilmente, attraversò per primo il mitico Satoru Nakajima. Tutti concordano, quanto meno, che Il test di oggi sarà fonte di ispirazione per la nuova generazione di piloti del Sol Levante.
(8/10/2019) – Dopo il Gran Premio di Russia Helmut Marko, in un’intervista alla austriaca Servus TV, ha stigmatizzato l’atteggiamento del muretto box della Ferrari “accusata” di aver “messo contro” inutilmente i propri piloti. Il plenipotenziario Red Bull ha aggiunto che a Maranello questi “giochi” sono sempre stati di casa e che la politica fa parte della loro “cultura”, che – ha aggiunto – è diversa dalla Red Bull. Marko è ovviamente libero di pensarla come crede ma quest’ultimo distinguo lascia un pochino perplessi. Intanto: sì, far parte del Team più blasonato e storico della F1 è un onore e anche un onere. Gestire due piloti, navigati o rampanti promesse che siano, su altrettante ambitissime monoposto quasi sempre molto competitive, comporta valutazioni “politiche”. Poi, come in tutte le cose, si può far bene o male, azzeccarla o fallire clamorosamente. Detto questo, non mi pare che alla Red Bull si brilli per limpidezza assoluta e per condotta apolitica.
Mi piacerebbe, in merito, chiedere lumi a Mark Webber che proprio con Marko ha avuto un pessimo rapporto da quando, come il pilota australiano ha avuto modo di dichiarare pubblicamente, già nel 2010 si è chiaramente accorto che tutte le attenzioni andavano verso il compagno di squadra Sebastian Vettel nonostante avesse infilato una bella doppietta vincente tra Spagna e Montecarlo e fosse veramente in palla. La inopinata collisione tra i due in Turchia fece poi deflagrare il rapporto e venire allo scoperto la “mala gestione” da parte dei decisori Red Bull. La goccia finale nel famoso GP di Malesia 2013, con Webber primo e Seb secondo, durante il quale nonostante l’ordine di congelare la situazione, compreso l’input di diminuire la potenza del motore – il Multi-21 – il tedesco infilò senza complimenti il compagno per involarsi verso la vittoria! Il tutto con la silente accondiscendenza di Marko & Horner… Non è una critica bensì una constatazione ben nota a tutti. Per dire, il primo che non ha fatto politica in F1, anche nei team più piccoli, scagli il primo pistone…
(7/10/2019) – Cosa hanno in comune Jacky Ickx e Arturo Merzario? Il ritiro! I due si detestano cordialmente: il pilota belga non ha mai particolarmente considerato il pilota comasco che, a sua volta, nel definirlo spiritosamente “il principe delle Ardenne” non ne ha mai digerito l’atteggiamento elitario e poco collaborativo. Ickx talentuoso, benestante e poco propenso alla “fatica” dei collaudi; Merzario spontaneamente veloce, dedito al sacrificio, capace con ogni tipo di vettura da corsa. Jacky vive di rendita dall’alto dei suoi record alla 24 Ore di Le Mans, Arturo a 76 anni va ancora in pista. Ebbene, qual è l’unica lieson tra i due? Il 7 ottobre del 1979, 40 anni fa esatti, il Gran Premio degli Stati Uniti est significò per entrambi la fine della carriera in Formula 1. A Watkins Glen, con la Ferrari già campione del mondo, si chiuse la stagione e il percorso nella massima formula, speso accidentato, di due campioni diversi per estrazione e modo di intendere le competizioni ma accomunati dalla passione. Proprio l’affievolimento di questo “carburante” mentale fu alla base della decisione di dire basta.
In quel lontano 1979 Ickx, dopo tre stagioni tribolate alla Ensign, aveva trovato una nuova occasione alla Ligier improvvisamente orfana di Patrick Depailler infortunato alle gambe dopo l’incidente in deltaplano. Patron Guy aveva pensato a lui da affiancare al lanciatissimo Laffite e l’occasione era appariva assai ghiotta: la monoposto francese, sotto le cure di Ducarouge, era sorprendentemente in lizza per il titolo. Per il belga, nuovo esordio a Digione con un ritiro e poi solo un sesto e un quinto posto, rispettivamente a Silverstone e a Zandvoort. Per il resto, ritiri in serie, compresa l’ultima gara del Glen dopo soli 3 giri, ma soprattutto la consapevolezza e l’evidenza che il nuovo corso delle wing car ad effetto suolo non si confacevano assolutamente allo stile di guida di un purista come Ickx. Per uno abituato a governare, e molto bene, le monoposto in base al proprio estro e all’acume agonistico, l’effetto suolo significò sconfessare e annullare tutto questo bagaglio di conoscenze e talenti che lo avevano brillantemente condotto ai vertici dell’automobilismo. Correre, lamentavano i piloti di allora, come su un binario fu per il belga il de profundis agonistico e lui non tardò a trarne le conseguenze.
Merzario concluse mestamente due anni di autentico calvario con la “sua” monoposto. Ad inizio 1978 aveva infatti deciso il grande salto: fondare un team e diventare costruttore. Ne aveva le competenze, meno i necessari mezzi finanziari. Fece ricorso anche alla generosità dei tifosi, sollecitati dal settimanale Autosprint, che contribuirono per quanto possibile a sostenere l’avventura. Si rivelò tale: dopo il primo anno già tribolato, nel 1979 le cose non solo non migliorarono ma, anzi, precipitarono. Due partecipazioni e due ritiri per noie meccaniche in Argentina e a Long Beach, poi nonostante tre telai portati in pista, drammatica sequela di non qualificazioni (a Montecarlo non partecipò) con i costi in continuo aumento. Portare almeno a termine la stagione fu il più grande risultato ma non fu assolutamente possibile proseguire oltre nonostante un estremo tentativo. L’ex pilota della Ferrari – fu lui a fine ’73 a cedere il sedile al nuovo fenomeno Niki Lauda – suo malgrado dovette cedere e quel gran premio americano d’autunno fu l’ultimo della carriera che lo aveva visto alla guida anche di Iso, Copersucar, Wolf-Williams, March, Shadow. F1 ingrata e spietata, le grandi soddisfazioni se le era già prese con i Prototipi e senza svendere mai se stesso e la sua libertà di espressione.
(5/10/2019) – Il Gran Premio degli Stati Uniti del 5 ottobre 1969, 50 anni fa, fu caratterizzato da tre avvenimenti: la prima vittoria di Jochen Rindt, gli ultimi punti di Pirs Courage e il grave incidente di Graham Hill. A Watkins Glen, penultima gara di campionato, l’austriaco regolò in volata proprio Courage. Il primo era al volante della Lotus mentre l’inglese guidava una Brabham mesa in pista da Frank Williams. Triste il loro destino solo pochi mesi dopo: l’inglese sarebbe tragicamente morto a Zandvoort dopo aver “sposato” il progetto Williams che portava in pista la De Tomaso progettata da Gianpaolo Dallara. L’austriaco, invece, morì a Monza mentre dominava il campionato che avrebbe comunque vinto, la prima volta postumo.
Graham Hill, anche lui al volante della Lotus, era in difficoltà e solo l’ennesima vittoria a Montecarlo aveva dato smalto ad una stagione critica. Al Glen era alle prese con grossi problemi agli pneumatici e proprio l’esplosione di uno di questi causo un grande crash aggravato dal fatto che il metodico inglese questa volta non aveva indossato le cinture di sicurezza. Il pilota fu sbalzato dall’abitacolo e riportò la frattura di entrambe le gambe. Indomito, si riprese e l’anno dopo – Chapman lo spedi nel Team di Rob Walker – tornò in pista e lo si vide anche con le stampelle. Aveva perso però qualcosa e infatti non riuscì più a salire sul podio, inizio della decadenza che lo portò nel 1975 a ritirarsi dopo la clamorosa non qualificazione nella sua Monaco.
(4/10/2019) – Adrenalina pura da oggi a domenica 6 ottobre al Mugello Circuit dove verranno assegnati i primi titoli tricolori ai Campioni Italiani Gran Turismo Endurance, Sport Prototipi e TCR DSG Endurance. C’è un ghiotto “in più” : l’attesa più grande è quella per il campionissimo Alex Zanardi. Il pilota bolognese torna infatti in pista nel quarto ed ultimo round del Campionato Italiano Gran Turismo Endurance – appuntamento che assegnerà i due titoli ancora mancanti, GT3 e GT4 – e lo farà al volante della BMW M6 in equipaggio con Stefano Comandini ed Erik Johansson, entrambi al vertice della classifica provvisoria davanti a Postiglione – Mul – Frassineti (Lamborghini Huracan) e Stefano Gai (Ferrari 488), piloti che ancora possono contendere il titolo ai portacolori di BMW Team Italia. L’ultima apparizione di Zanna Zanardi nella categoria risale al 2016 ma questa volta in gara non sarà dotato delle protesi e utilizzerà speciali comandi che gli permetteranno di frenare utilizzando la mano ed un volante modificato che sarà installato al cambio pilota.
WEITING DREAM RACE – Ci sarà la possibilità di incontrare da vicino il grande campione bolognese durante la sessione autografi e selfie in programma domenica alle ore 11.30. Magari sarà anche l’occasione per chiedergli della prossima sfida alla quale è stato chiamato a partecipare in veste di pilota ufficiale BMW (sarà al volante di una M4 DTM): la Dream Race del 22 novembre al Fuji, in Giappone, spettacolare gara confronto tra le vetture DTM e quelle del Super GT giapponese!
(3/10/2019) – Per Nico Hulkenberg le ore che lo separano dall’addio alla F1 o da un nuovo contratto stanno passando molto velocemente. Giubilato dalla Renault, che gli ha preferito il francesino Ocon, Nico non ha molte chance ma non è detta l’ultima parola. A questo punto i sedili possibili sono noti: Alfa Romeo Racing (Vasseur sta tenendo sulle spine Antonio Giovinazzi in febbrile attesa di riconferma), Williams perdente Kubica (lì incombe Latifi) o Red Bull (pressing finora infruttifero su Marko). Ma non solo. Il fremente tedesco, a questo punto…di non ritorno, punta anche al bersaglio grosso: attende di capire cosa succederà alla Ferrari. Una scommessa delicata in virtù della quale non ha forzato sul più che possibile accordo con la Haas senza il quale ora rischia di rimanere a piedi. Una situazione già vissuta quando a fine 2010 la Williams non lo confermò – e lui non considerò l’offerta Virgin – preferendogli Maldonado. Chissà, magari ha ragione lui, la carriera si è messa così, non c’è più molto da perdere e quindi vale la pena guardare al massimo traguardo. Vediamo.
Nico è stato vicino, molto vicino ad essere un pilota del Cavallino. Nel 2013 l’allora DS Stefano Domenicali lo aveva pre-opzionato per il campionato 2014. Era cosa fatta ma all’improvviso il sogno, per lui che ha scelto il mitico numero 27, un segno identitario del ferrarismo, svanì. A distanza di 6 anni, le strade tornano a diventare quanto meno parallele e la speranza di trovare l’anello di congiunzione non è del tutto peregrina. A Maranello, come noto, la situazione piloti e contrattualmente definita ma le ultime scintille tra Vettel e Leclerc – la storia insegna – non lasciano presagire nulla di buono. Sul web si rincorrono voci di possibile addio anticipato del quattro volte campione del mondo, o di suo anno sabbatico (come Prost nel 1992) in attesa della chance Mercedes o ancora di un clamoroso ritorno alla Red Bull. Se così fosse, Nico è tra le due opzioni Ferrari per riparare al drivers-crash interno. L’altro è il suo attuale compagno di squadra Ricciardo che però, nel caso, è svantaggiato dal fresco contratto che lo lega alla Regie. Qualcuno in vena di sensazionalismo parla anche di terza eventuale opzione per Mick Schumacher, ma il figlio d’arte ha bisogno di altro apprendistato, mentre sarebbe più appropriato pensare ad una chance concessa a Giovinazzi che è pur sempre pilota ufficiale del Cavallino.
Ma torniamo al nostro Hulk che ha risposto in maniera pacata al TP Renault Abiteboul che gli ha rimproverato la tendenza a “sprecare le occasioni”. Ultimo esempio, Hockenheim. Nico, 32 anni, effettivamente sembra avere questo difetto: parte sempre molto forte, ha esperienza (anche se l’anno scorso non si è capito quel pazzesco tamponamento allo start di Spa), poi fatalmente si arena. Non è un caso il fatto che in 10 stagioni in F1 non sia mai salito sul podio pur avendo guidato Williams – un’altra Williams, quella da pole position in Brasile 2010 – Force India, Sauber e quindi Renault. Eppure è stato campione nei kart, di Formula BMW Adac (2005), Masters F3 (2007), F3 Euro Series (2008), GP2 (2009). Ha corso anche in A1 GP. Ciliegina sulla torta: la vittoria alla 24 Ore di Le Mans 2015. Credo sia un pilota che abbia bisogno di motivazioni costanti. Allora? Siamo al redde rationem. Good luck Nico!
(1/10/2019) – Sorry ma devo tornare sulla vicenda Ferrari a Sochi, o meglio sul dualismo sempre più aspro tra Vettel e Leclerc, tra il campione blasonato (in odore di ritiro?) e il giovane rampante. La Ferrari si è fatta male da sola? Siamo agli albori di una convivenza foriera di guai? E’ il tema del momento perché in Russia il Cavallino poteva ambire all’ennesima vittoria, la quarta di fila, e invece si è ritrovato domato dalle ineffabili Mercedes. Ieri ho discusso su Twitter (@Motorchicche) con la mia amica blogger Milly che, giustamente, non vede il nesso tra ordini di scuderia e risultato della gara russa, tra l’altro determinata dal problema al motore di Vettel e dalla minore resa finale dell’altra rossa in occasione del vano attacco finale a Bottas ed Hamilton. Il punto da me sollevato è però un altro: come gestire due piloti in palla su una monoposto assai competitiva? Come evitare che la Ferrari ricada in situazioni che in passato l’hanno parecchio penalizzata sul piano dei risultati e dei rapporti umani? Non si può non vedere che la situazione sta peggiorando: l’accordo disatteso da Leclerc in qualifica a Monza, le pretese sull’ordine dei pit-stop a Singapore e ora il bisticcio sulla strategia dopo lo start a Sochi. Trovo piuttosto assurdo che si debbano impiegare tanti giri di gara per reclamare la prima posizione (Charles) e per spiegare la liceità della propria condotta (Seb). Tanto assurdo che Binotto ha annunciato maggiore chiarezza dal prossimo Gp, in Giappone. Per me è un peccato dover imbrigliare l’agonismo ma occorre essere concreti: il regolamento lo permette e poi si corre per vincere e non per farsi sopraffare dagli avversari. Questa è la F 1 attuale. Vale per tutti e infatti la Mercedes l’anno scorso non ha avuto scrupoli nell’umiliare il povero Bottas, costretto per esempio a cedere il passo a Hamilton proprio in Russia, ricordate? Tornando alla Ferrari, poi, si rischia di rivivere situazioni già vissute di attrito tra i piloti e piuttosto ambigue lato box, che non hanno fatto bene (a volte molto male) e di cui fare tesoro.
Vi sottopongo qualche amaro esempio da non ripetere, limitato agli ultimi decenni.
LAUDA – REGAZZONI. Clay aveva “segnalato” il giovane Lauda al Drake e nel 1974 si ritrovò in squadra un tipetto molto determinato, più di quanto aveva pensato. Il dissidio scoppiò a Montecarlo dove lo svizzero, in testa su una pista dove si può vincere facile in quelle condizioni, finì per girarsi alla Rascasse innervosito da Niki che lo pressava troppo da vicino. L’austriaco si difese adducendo a sua scusante la necessità di proteggersi dagli attacchi di Jarier. Alla fine si ritirò anche Lauda, vinse Peterson e la Ferrari dovette rinviare l’appuntamento con la vittoria nel Principato che quella domenica sembrava certa. Regazzoni perse il mondiale all’ultima gara, al Glen, e nel 1975 Lauda prese il sopravvento nel team, anche politicamente. Allo start del Gran Premio di Spagna, sul circuito cittadino del Montjuich, il patatrak: i due, al volante della superba Ferrari T1, si ostacolarono mettendosi entrambi ko. Stesso copione un anno dopo, alla partenza del Gp d’Inghilterra a Brands Hatch: Rega, ormai seconda guida, affrontò la prima staccata in maniera assai disinvolta – atteggiamento che non gli verrà perdonato da parte del Drake – finendo per colpire la vettura gemella. Da lì, il noto caos con la ripartenza e la gara assegnata con grandi polemiche a tavolino a Lauda per la squalifica di Hunt.
VILLENEUVE –PIRONI. Tutto bene nel 1981 tra i due forti piloti della Ferrari di lingua francese ma nel 1982, al volante della imbattibile 126C1 vennero prepotentemente a galla le celate ambizioni del transalpino. La crisi scoppiò nel ben noto Gran Premio di San Marino boicottato dai team inglesi. Dopo la sfuriata iniziale della Renault di Arnoux, la contesa fu ristretta ai due galletti di Maranello, con Villeneuve in testa ben tranquillo e sicuro di arrivare in quella posizione al traguardo, anche a fronte del cartello SLOW mostrato ai due dal box dove quel giorno mancava Forghieri. Slow un accidenti: Pironi fiutò il colpaccio e prese ad attaccare come un forsennato l’incredulo canadese che, dirà poi, pensava a un po’ di scena a favore del gran pubblico accorso a Imola. No, Pironi anche all’ultimo giro tentò e portò a termine un gran sorpasso per non cedere più la posizione fino alla bandiera a scacchi. Il resto è storia: Villeneuve, offeso, non rivolse più la parola al team mate, poi cercò, senza trovarla, la sponda di Maranello e infine a Zolder…
PROST –MANSELL. Campionato 1990, Prost, da quell’anno alla Ferrari, e l’acerrimo rivale Senna, che l’anno prima si era visto portare via il titolo dopo i fatti di Suzuka, erano in lotta serrata. L’altro pilota del Cavallino, Nigel Mansell, era ormai “in rotta” con la Scuderia – a Silverstone annunciò addirittura il ritiro – dove Richelieu Prost, come suo solito, aveva assunto il “comando” delle operazioni. La situazione deflagrò in Portogallo: allo start del quart’ultimo Gp della stagione, all’Estoril dove, incredibilmente, Mansell fu autore di una partenza alla “spacco-tutto” che si risolse con il compagno Prost quasi sbattuto contro il muretto box e costretto a cedere posizioni alle due Mc Laren di Senna e Berger, con il francese che si ritrovò addirittura quinto. Questa dinamica, aggiunta a tanti incidenti in gara, relegarono il transalpino, favoritissimo, sul terzo gradino del podio dietro Senna e…Mansell che vinse! Grandi le polemiche: per le gran pacche sulle spalle tra Nigel e Ayrton e dell’esterrefatto Prost nei confronti del DS Fiorio, reo di non aver definito gerarchie e strategie.
SCHUMACHER – IRVINE. Nel corso della stagione 1999 Eddie Irvine aveva deciso di lasciare la Ferrari. Voleva un trattamento da prima guida poichè a Maranello imperava un solo pilota, King Michael Schumacher. L’irlandese, quindi, affrontò il campionato con una certa sfrontatezza, culminata nel Gran Premio di Gran Bretagna a Silverstone. Nel corso del primo giro, sul lungo rettilineo che porta alla Stowe, i due ferraristi furono protagonisti di un evitabile testa-a-testa (tanto più che in quei frangenti fu esposta anche la bandiera rossa) con tanto di staccatona finale. Purtroppo per Schumi, al termine di questo duello a quasi 300 Km all’ora, un difetto al freno posteriore innescò la sua drammatica uscita di pista che gli costò la frattura di tibia e perone della gamba destra e la possibilità di giocarsi il titolo mondiale. Irvine, poi “reo confesso” di non aver voluto cedere la posizione al compagno di squadra, rimase unico portacolori di Maranello e si giocò le sue chance fino all’ultimo Gran Premio in Giappone. Grandi, comunque, le polemiche per un presunto boicottaggio ai suoi danni, vedi gomma mancante al pit-stop del Gp d’Europa, la crisi di Monza e la scarsa competitività all’ultimo appuntamento dove Schumi verrà accusato di non aver attaccato come doveva il rivale Hakkinen.
SCHUMACHER – BARRICHELLO.Dura per il brasiliano Barrichello avere a che fare nella stessa squadra con il “cannibale” Schumacher. Ma Rubens, comunque molto veloce, aveva i suoi momenti d’oro e le piste dove svettava. Una di queste era lo Spielberg dove nel 2001 fu costretto a cedere la seconda posizione al campione del mondo in carica. Al Gran Premio d’Austria dell’anno dopo, però, il mesto copione si ripetè in maniera molto più clamorosa. La Ferrari F 2002 era superlativa e sulle curve veloci e ondulate il brasiliano volava, imprendibile per tutti, compreso il Barone Rosso di Germania che arrancava alle sue spalle. Ebbene, anche questa volta arrivò l’ordine via radio: cedere la posizione, la vittoria. Barrichello per qualche tempo non rispose, tanto che Ross Brawn dovette insistere: “Rubens, it’s for the championship…”. Obbedì solo sul rettilineo d’arrivo, a poche decine di metri dal traguardo, obtorto collo. I fischi dei tifosi quando Schumi salì sul primo gradino del podio sono una pagina amara per la Ferrari e a poco valse la “cessione” del posto al vincitore morale (anzi, la Ferrari fu sanzionata per non aver rispettato il protocollo). Per Barrichello, come per ogni pilota, una brutta botta a livello personale soprattutto se si tiene conto della superiorità della F2002 che nel prosieguo del campionato non lasciò neanche le briciole agli avversari.
PER FINIRE… Nei tempi più recenti, Alonso e Massa non hanno certo brillato per cameratismo e nemmeno i grandi amici Vettel e Raikkonen sono stati esenti da screzi – vedi Montecarlo 2017 e Monza 2018 – per quanto ben camuffati (soprattutto perché Kimi non ama palare…). Insomma, a Maranello in queste ore occorrerà diplomazia e pugno duro ma l’impressione è che la coppia sia…scoppiata.