
(22/1/2019) – Come purtroppo talvolta accaduto (triste esempio Andrea De Cesaris), anche Mike Hawthorn è stato un pilota che, sopravvissuto ad anni di gare all’insegna del massimo rischio, ha poi trovato la morte in un incidente stradale in veste di semplice cittadino. Era il 22 gennaio del 1959, 60 anni fa, quando il fresco campione del mondo di F1 rimase vittima di uno schianto contro un albero nei pressi di Guilford mentre guidava la sua Jaguar, qualcuno dice nel corso di una sfida con l’amico Rob Walker. Aveva 29 anni e, come detto, nel 1958 si era brillantemente laureato campione al volante della Ferrari Dino 246 dopo aver battuto al fotofinish Stirling Moss su Vanwall nell’ultimo Gran Premio del calendario, in Marocco, il 19 ottobre 1958: 42 punti per lui, 41 per l’irriducibile avversario solo un po’ meno costante nel corso della stagione. Primo inglese a scrivere il proprio nome nell’Albo d’oro, dopo sette anni di dominio italo-argentino, e prima volta a verificarsi un distacco di appena un punto tra il primo e il secondo classificato. Ebbe solo il tempo di annunciare il ritiro dalle corse e di avviare i preparativi per il matrimonio, fino a quando il destino pose fine alla sua esistenza. Quest’anno, il 10 aprile, avrebbe compiuto 90 anni.


Hawthorn è una figura che sarà sempre rappresentativa della Formula 1. Oltre che per il titolo conquistato al volante della Ferrari, viene ricordato per il suo inconfondibile look british: le foto dell’epoca ce lo consegnano al volante con tanto di elegante farfallino, giubbotto e caschetto verdi nonché, una volta a terra, fumatore di pipa con presumibile ottimo tabacco. Questa proiezione assai signorile non deve trarre in inganno: era un grande appassionato di motori – trial, pista, rally – e dimostrò di avere talento, tanto che Enzo Ferrari nel 1953 lo volle a Maranello giovanissimo, a 23 anni, dopo il debutto l’anno prima con la Cooper nel GP del Belgio. Per il Cavallino vinse in Francia e l’anno dopo in Spagna, oltre al Tourist Trophy con la Ferrari750S. Il Drake lo considerava imbattibile “nelle giornate di vena” ma anche “sconcertante” per la sua discontinuità. Nel 1955, il primo evento che lo segnò negativamente e cioè il coinvolgimento – era su Jaguar D Type – nello spaventoso incidente alla 24 Ore di Le Mans da lui vinta in coppia con Bueb che costò la morte di oltre 80 spettatori assiepati in Tribuna. Vanwall, Maserati, BRM: girovagò un po’ prima di avere nel 1957 un’altra chance in Ferrari però senza acuti per trovare infine l’annata di grazia l’anno seguente nonostante le quattro vittorie del connazionale Moss contro la sua unica, di nuovo in Francia. Tanto bastò ma la sua gioia non fu mai piena: le tragiche morti in serie degli amici Castellotti, Musso e soprattutto Collins, fino a quella di Lewis Evans a Casablanca, lo indussero ad appendere subito il casco al chiodo. L’alba del 1958 costituì però il tramonto della sua vita.
