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ANNIVERSARY / DIECI ANNI FA LA MORTE DI PHIL HILL, CAMPIONE YANKEE TRISTE

(28/8/2018)TEN YEARS AGO THE DEATH OF PHIL HILL, SAD CHAMPION. Dieci anni fa la morte di Phill Hill, uno dei più brillanti e indecifrabili piloti della storia. Americano di Miami si spense il 27 agosto 2008: aveva 81 anni ed era affetto dal morbo di Parkinson. Come l’altro (italo)americano Mario Andretti il giorno più bello coincise con quello più brutto. Vinse il campionato mondiale di F1 nel 1961 – primo statunitense a riuscirci  con la prima Ferrari a motore posteriore, la 156 “squalo” by Carlo Chiti, al Gran Premio d’Italia a Monza che però resterà nella storia per il concomitante gravissimo incidente mortale, avvenuto prima della Parabolica, che coinvolse il compagno di squadra Von Trips, come lui in corsa per il titolo, e 15 spettatori (altri 24 rimasero feriti) assiepati ai lati del rettifilo. Un evento luttuoso che accentuò, nonostante i tanti successi, la sua costante tensione, l’atteggiamento conflittuale con le corse stesse, con il mondo della velocità e del rischio di cui fin da giovanissimo  – con la morte di entrambi i genitori, a 22 anni, si trasferì in Inghilterra  dopo aver fatto apprendistato anche da meccanico – aveva deciso di far parte. Tra l’altro, a Monza si giunse in un clima di esasperata competizione interna che in seguito Hill stigmatizzerà come  Inaccettabile tra amici e compagni di squadra”. Con l’animo ancora segnato dalla tragedia di Le Mans del 1955, dove era presente, disse sconvolto e sempre più introspettivo: “Non ho mai sperimentato nulla di più triste”.  Quel drammatico suggello fu praticamente l’ultimo acuto a ruote scoperte e l’avventura ATS, insieme ai transfughi/licenziati Ferrari capitanati da Chiti, si rivelò assolutamente effimera. Altra gloria se la procurò con la Chaparal vincendo la 1000 Km del Nurburgring e la 500 Miglia di Brands Hatch.














GLI ATTRITI CON IL DRAKE – Con la Ferrari e con Enzo Ferrari il rapporto fu alquanto controverso. Il Drake simpatizzava per quel giovane quanto problematico yankee vincitore della Carrera Panamericana ma lo tenne sulla graticola e solo nel 1958 – anno di altri decessi: Musso, Collins…. – dopo il debutto in F1 con la Maserati al GP di Francia gli offrì finalmente un volante. Hill si trasferì a Modena e sperimentò la “cappa” pressoria che Enzo Ferrari esercitava sui suoi piloti. A un certo punto cominciò a criticare le macchine per poi confessare nelle sue memorie: “Lo facevo apposta, non accettavo che Ferrari non riconoscesse al pilota neppure il 10% di merito che gli spettava per una vittoria”. Una volta, a distanza di anni, dichiarò di continuare a sognare il Drake incombente. La sua classe e velocità, unite alla sua abilità sul bagnato, in tre anni gli consentirono di scalare la vetta e laurearsi primo americano a vincere il mondiale di F1. Ma fu anche immenso interprete delle corse di durata: primo per tre volte alla 24 Ore di Le Mans (1958, 1961 e 1962), coppia d’oro con Gendebien, e per tre volte la mitica 12 Ore di Sebring.  Nel 1967 appese il casco al chiodo e, tornato nella sua casa californiana di Santa Monica, si dedicò al giornalismo e soprattutto al restauro di auto d’epoca. Le corse mi rendono irritabile, mi fanno mettere sulla difensiva e diventare scontroso. Se potessi lasciare questo sport lo farei“, un’altra delle sue dichiarazioni che testimoniano l’estrema sensibilità di questo pilota che per trovare serenità ascoltava musica classica e si faceva inzuppare la tuta d’acqua prima di scendere in pista. “Ho avuto una vita molto eccitante e ho potuto imparare un sacco di cose su me stesso e sugli altri. Col senno di poi ne valeva di pena”, la frase riassuntiva della sua esperienza.


Il figlio Derek tentò la via delle corse, impegnandosi in Ferrari Challenge e, senza fortuna, in F.3000. Oggi è

“Master of Ceremonies” di Pebble Beach, il più importante concorso d’eleganza per auto d’epoca al mondo, e ha partecipato alla recente rievocazione della Mille Miglia a bordo di un’Alfa Romeo 1900 Sport spider.


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