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ALPINE A100 E’ L’AUTO PIU’ BELLA


31/1/2018) – La nuova Alpine A110 è l’auto più bella dell’anno: il prestigioso premio è stato assegnato al 33° Festival Automobile International e consegnato a Carlos Ghosn, CEO del Gruppo Renault. È il secondo titolo ottenuto da Alpine in meno di due mesi, dopo il “Trofeo della migliore sportiva dell’anno”, assegnato da l’Argus. Il lavoro di rilancio di questa iconica marca trova dunque ulteriore ricompensa se si pensa che il premio è assegnato dal grande pubblico sul web. «Rilanciare un’icona sportiva come l’A110 è una sfida appassionante. L’importante è non dimenticare la storia, iniettando nello stesso tempo un know-how e delle tecnologie attuali. L’entusiasmo suscitato dalla nuova Alpine A110 è per noi motivo di orgoglio, non solo a Dieppe, in Francia, dove viene prodotta, ma anche in tutto il Gruppo Renault. Questo premio ricompensa tutte le nostre équipe e l’energia dispiegata in questi cinque anni per far rivivere questo simbolo dell’eccellenza e dell’eleganza alla francese», commenta Ghosn. Progettata e prodotta in Francia, nello storico stabilimento di Dieppe in Normandia, questa coupé due posti con motore centrale posteriore si distingue per la struttura in alluminio, a vantaggio della leggerezza, e per raffinate sospensioni a doppia triangolazione. A110 Première Édition monta un quattro cilindri turbo benzina 1,8 litri, che eroga 252 cv e consente una velocita massima di 250 Km/h e un’accelerazione da o a 100 in 4,5 secondi. E’ previsto l’assemblaggio di 6.000 Alpine l’anno, per un investimento di 35 milioni di euro. Le prime 1955 Alpine Première Édition risultano già tutte vendute.

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ALONSO – TOYOTA: FINALMENTE HA CAPITO COME VINCERE LA 24 ORE DI LE MANS

(30/1/2018)– Finalmente Fernando Alonso ha capito come riuscire a vincere una delle grandi classiche del motorsport alle quali tiene legittimamente così tanto, la 24 Ore di Le Mans. Reduce dalla deludente 24 Ore di Daytona – solo 38° dopo tante noie ai freni e una foratura – arriva l’annuncio tanto atteso: il pilota spagnolo si è accordato con la Toyota e non solo correrà la leggendaria maratona francese ma disputerà l’intero campionato WEC, ad eccezione della 6 Ore del Fuji concomitante con il Gp degli Stati Uniti di F1.  In buona sostanza, si è reso conto che per centrare l’ambito risultato non può affidarsi ad estemporanee presenze – vedi anche 500 Miglia di Indianapolis dell’anno scorso su una Mc Laren Honda affidata alla gestione del Team Andretti, ritirato 20 giri dal termine per un guasto al motore – ma deve abbracciare un preciso, collaudato e determinato programma finalizzato all’obbiettivo. Lo sbocco Toyota è quasi naturale, sia perché dopo il ritiro Porsche è l’unica LMP1 ibrida in lizza, la più competitiva, sia perchè il rapporto con i giapponesi aveva cominciato a cementarsi in occasione del test di Fernando a fine novembre scorso in Barhain al volante della TS050 Hybrid. I dirigenti nipponici, ovviamente, non avevano fatto mistero di apprezzare tantissimo il grande campione spagnolo. 
ALONSO COME HULKENBERG? – Due più due fa quattro e Alonso esordirà già il 6 maggio alla 6 ore di Spa ma con appuntamento principe il 16 giugno a Le Mans quando dividerà la vettura n° 8 con Sebastien Buemi e Kazuki Nakajima. Ripeto: finalmente ha capito, un po’ come successe a Nico Hulkenberg che nel 2015, al primo colpo, ha impreziosito il suo palmares vincendo la 24 Ore di Le Mans grazie al suo coinvolgimento nel programma ufficiale di un colosso sportivo e organizzativo come Porsche. Isatake Murata, Team President della Toyota Gazoo Racing fa il punto della situazione:  “Fernando è un debuttante nel WEC ma porta la velocità e l’esperienza acquisite da molti anni al vertice del suo sport. Siamo tutti entusiasti di lavorare con lui, ma le gare di endurance sono uno sforzo di squadra e sappiamo che tutti i nostri piloti si stanno comportando a un livello molto alto“. Fernando replica: “Devo ringraziare la McLaren per questa opportunità. Sono molto entusiasta di partecipare alla 24 Ore di Le Mans per la prima volta. È una gara che ho seguito da vicino da molto tempo ed è sempre stata una mia ambizione partecipare. Le gare endurance sono una disciplina diversa rispetto alle monoposto e mi sono goduto il mio primo assaggio a Daytona. Non vedo l’ora di lavorare insieme a Sébastien e Kazuki, entrambi esperti piloti di endurance. Sarà una curva di apprendimento ripida per me, ma sono pronto per questa sfida e non vedo l’ora di iniziare”. Allo spagnolo, a questo punto, chiederemmo solo una cosa. Ma quanto gli interessa ancora la F1?
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ARROWS STORY, 40 ANNI FA DEBUTTO E TANTI GUAI!

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29/1/2018) – Certo che. la Arrows ha fatto parlare molto di sé, fin dalla fondazione e dal debutto, avvenuto il 29 gennaio di 40 anni fa, al Gran Premio del Brasile 1978, seconda gara della stagione. Il modello FA1, approntato in poco meno di due mesi e affidato a Riccardo Patrese, si caratterizzava per la sua silhouette particolare ma c’era…un ma. Il mitico patron della Shadow, Don Nichols – scomparso la scorsa estate – gridò al plagio intentando subito causa. Il gruppo dirigente della neonata scuderia, sostenuto finanziariamente dal discusso finanziere Franco Ambrosio e composto da Alan Rees, Jackie Oliver, Dave Wass e Tony Southgate, da cui l’acronimo “Arrows”, era effettivamente transfugo dalla squadra di Nichols.


Già nel mese di agosto, una Corte di giustizia inglese riconobbe le ragioni di questì’ultimo ingiungendo ai plagi la distruzione (o la restituzione) dei pezzi (almeno il 40%) costruiti in base ai disegni della futura Shadow DN9. Non passò, dunque, la linea la difesa del capo-progettista Southgate che reclamò la proprietà intellettuale delle sue idee ed inoltre Oliver & C. furono condannati a pagare le spese processuali e risarcimento danni. Una bella mazzata, per un piccolo team all’esordio! 


ARROWS, 24 STAGIONI IN F1 – Fu l’epilogo di un’operazione maldestra originata dal tentativo di quel gruppo – Ambrosio, già sponsor della Shadow rimase poi invischiato in oscure vicende giudiziarie – di rilevare a fine 1977 proprio la scuderia anglo-americana con Gunnar Nilsson quale pilota. Don Nichols resistette all’assalto e non rimase altro da fare che mettersi in proprio con le conseguenze appena descritte. La FA1, più avanti opportunamente modificata, si dimostrò subito competitiva tanto che Patrese già al secondo gran premio, in Sudafrica, stupì tutti e solo un guaio al motore gli negò la clamorosa vittoria. Quell’anno, la Arrowse Patrese (al quale poi venne affiancato Stommelen) salirono sul podio in Svezia (2°posto),  furono protagonisti di una spaventosa carambola con Pironi a Zandvoort e finirono sotto accusa per l’incidente mortale di Peterson a Monza, che costò un’ingiusta squalifica per una gara del pilota italiano. Dopo 24 stagioni complete tra passaggi di proprietà, vedi Footwork e TWR di Tom Walkinshaw, e le più disparate motorizzazioni – dalla Ford alla BMW, dalla Porsche alla Mugen-Honda e alla Hart, dalla Megatron alla Yamaha, dalla Supertec alla Asiatech – la Arrows alzò definitiva bandiera bianca a fine 2002 con all’attivo un quarto posto nel 1988 e una pole (Patrese, Long Beach 1981). 
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FERRARI F2003 GA, LA ROSSA DEDICATA A GIANNI AGNELLI

(24/1/2018)– C’è stata una Ferrari dedicata a Gianni Agnelli, scomparso giusto 15 anni fa: la F2003 GA. L’avvocato, era molto coinvolto nelle “cose” Ferrari ma sapeva essere presente senza pesare quanto poteva. Lo stile Agnelli, per l’appunto. Nel 1969 ebbe l’arguzia di acquisire l’Azienda di Maranello e inglobarla nel perimetro FIAT  ma anche la lungimiranza, diversamente da quanto ritenne la Ford, di lasciare piena autonomia al Grande Vecchio per quanto riguarda la gestione sportiva. Seguiva i grand prix in televisione, si informava costantemente, era un habitué di Montecarlo e nel 1996 pensò bene allargare di cordoni della borsa per accaparrarsi l’asso del momento, Michael Schumacher. Una decisione che cambiò in meglio – sportivamente e industrialmente – le sorti del Cavallino, a digiuno da 21 anni. Dunque, una figura di assoluto riferimento della storia Ferrari e nel 2003 fece bene l’allora presidente Luca Cordero di Montezemolo, legato all’Avvocato da fortissimo sentimento di stima e riconoscenza, a denominare F2003 GA, quindi con le sue iniziali, la Rossa che sarebbe scesa in pista per la prima volta senza la “supervisione” dell’uomo forte di Torino. “E’ stata una scelta dettata dal cuore: era il minimo che potevamo fare in omaggio ad una persona fondamentale per la mia vita e per quella della Ferrari”, disse un commosso Montezemolo in sede di presentazione a Maranello, il 27 febbraio 2003.


COM’ERA LA F2003 GA – La monoposto 2003, esordì solo al quinto Gp, in Austria – era previsto a Imola –  e aveva l’arduo compito di succedere alla fenomenale e invincibile F2002 ma il trio Rory Byrne, Ross Brown e Paolo Martinelli riuscì nell’impresa di assicurare un’altra arma assoluta, frutto di ricerche esasperate, nelle mani dei piloti Schumi e Barrichello (Massa era il terzo pilota). Ci furono problemi con le gomme Bridgestone – Schumacher fini addirittura doppiato in Ungheria – ma alla fine grazie a 5 vittorie (altre due le centrò Barrichello) il tedesco conquistò il quarto titolo da ferrarista. La monoposto, compatta, leggera e filante, era caratterizzata dalla estrema miniaturizzazione del cambio – tempo di cambiata inferiore ai 10 millisecondi – longitudinale in fusione di titanio a sette marce e dal braccio interno del triangolo inferiore della sospensione posteriore fissato al motore V10 a 90 ° progetto 052 da circa 900 cavalli. Due autentiche innovazioni. Da sottolineare inoltre l’accuratezza del disegno delle pance (radiatori più inclinati) e il nuovo bilanciamento dei pesi (abitacolo arretrato) nonché sistema di ammortizzazione. Prolungati e proficui furono anche gli studi di fluidodinamica per ottenere un’efficienza aerodinamica eccellente. 
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60 ANNI FA IL PRIMO SUCCESSO DI UNA F1 A MOTORE POSTERIORE

(19/1/2018) – Per la serie date storiche della F1, eccone una da celebrare oggi: cosa successe il 19 gennaio del 1958, 60 anni fa? Il Gran Premio di Argentina, gara inaugurale della stagione, fu vinto da Stirling Moss su Cooper ma, soprattutto, a bordo di una monoposto per la prima volta spinta da un motore posteriore (schierata inoltre da un team privato, quello di Rob Walker). Una novità sensazionale. Era la sola in pista ad aver adottato questa inedita soluzione, un’intuizione epocale che infatti avrebbe cambiato nel giro di pochi anni la filosofia costruttrice di tutte le Case in lizza, fino ai giorni nostri. Anche Enzo Ferrari, autore della celeberrima affermazione “Non ho mai visto i buoi dietro al carro”, tre anni dopo dovette convertirsi al motore dietro alle spalle del pilota con lo “squalo” di Carlo Chiti. La singolarità del successo in terra argentina della scuderia inglese fondata da John Cooper e dal padre Charles, stava anche nella motorizzazione Coventry-Climax, ancora agli albori ma che, anch’essa, avrebbe contribuito a far scrivere pagine leggendarie.

Quella domenica, in Argentina, la stagione si avviava sulla base di nuovi regolamenti – e moli Team non erano pronti – e il pilota, Moss, libero da impegni con la Vanwall, era stato ingaggiato solo per l’occasione. Ebbene, la rivoluzionaria Cooper 2000 a motore posteriore sbaragliò le Ferrari di Musso e Hawthorn, futuro campione del mondo 1958, e una pletora di Maserati. La stessa monoposto, con Trintignant al volante, tagliò il traguardo per prima anche a Montecarlo. Come detto, una sberla a tanta blasonata concorrenza che, gioco forza, si vide progressivamente costretta a considerare e abbracciare l’idea. Il propulsore posteriore, infatti, garantiva una ottimale distribuzione dei pesi, una maggiore penetrazione aerodinamica e faceva risparmiare molti chili per la riduzione del volume di diversi pezzi meccanici (albero di trasmissione, per esempio). Ci fu un pilota che intuì immediatamente l’efficacia di una simile soluzione, che l’altro prevedeva la posizione sdraiata del pilota stesso, e fu Jack Brabham. Nel 1959 e 1960 l’australiano accomunò il suo nome a questa splendida realtà e per due volte si laureò campione del mondo. Il giovane ingegnere della scuderia, tal Colin Chapman, fece in seguito tesoro di tanta innovazione e dai primi anni ’60 sarà la sua Lotus a dominare la scena.
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A MONZA LA SFIDA (E LA PREMIAZIONE) DI TUTTI I CAMPIONI ITALIANI

(18/1/2018) – Chi sarà il “Campione dell’anno?” Il verdetto arriverà domani 19 gennaio a Monza, su un tracciato interno dell’Eni Circuit brianzolo: 32 protagonisti tricolori del motorsport si sfideranno a partire dalle ore 14.00 –  Tribune e paddock aperte al pubblico – prima di prendere parte, dalle ore 19.00, alla premiazione Acisport dei campioni 2017. Chi ci sarà? Ecco la lista (dai sedicesimi alla finalissima, tutti al volante delle Seat Leon Cupra ST, protagoniste del tricolore Turismo TCS):
da Luca Filippi, portacolori d’Italia nel Campionato di Formula E ai Campioni Italiani Gran Turismo Michele Beretta e Alex Frassineti; il Campione del Mondo e d’Europa Karting KZ, Paolo De Conto, il Campione Italiano Velocità Montagna Domenico Scola e il talentuoso Fabio Andolfi, protagonista in WRC2 con i colori di ACI Team Italia. Molti altri dal mondo del rally: dal Campione Italiano Rally Terra Andrea Dalmazzini a quello Rally Junior Marco Pollara, sino al vincitore del Trofeo Abarth 124 Rally Fabrizio Jr. Andolfi e del Trofeo Peugeot Top Competition Damiano De Tommaso. Al via anche tutti i Campioni Italiani in pista: Stefano Comandini e Alberto Cerqui, vincitori del tricolore Gran Turismo Super GT3, Simone Niboli, campione Gran Turismo GT3, Eugenio Pisani, vincitore del tricolore GTCup, Ivan Bellarosa, Campione Italiano Sport Prototipi e Nicola Baldan, trionfatore nel TCR Italy. 
Non potevano mancare gli assi delle cronoscalate: oltre al Campione Italiano Assoluto Domenico Scola, saranno della partita il campione di Gruppo GT Lucio Peruggini, quello di Gruppo CN Luca Ligato, i campioni di Gruppo E1 ItaliaMarco Sbrollini, di E2SH Manuel Dondi e di gruppo N Antonino Migliuolo. Presenti inoltre i kartisti Alex Irlando, Campione CIK FIA International KZ2 Super Cup, Luca Bombardelli e Claudio Tempesti Campioni Italiani Karting KZ3 Junior e Over. A completare lo schieramento, i campioni delle Autostoriche Enrico Rondinelli, Piero Lottini e “Lucky”, del fuoristrada Elvis Borsoi e Ivano Nicoletta, il Campione Italiano Formula Challenge Giordano Pietro Belfiore, il vincitore assoluto del tricolore slalom Saverio Miglionico e il giovane Michele Poma, campione tra gli Under 23.

Come detto, seguirà la tradizionale cerimonia di premiazione Acisport a definitiva chiusura della stagione agonistica 2017, alla presenza del Presidente dell’ACI Angelo Sticchi Damiani, dei Dirigenti della Federazione e del Ministro dello Sport. E’ annunciata la presenza della Scuderia Ferrari con Antonio Giovinazzi, poi Alessandro Pierguidi, campione mondiale endurance e Giancarlo Fisichella. Ci sarà anche l’ing. Giampaolo Dallara e inoltre Simone Faggioli, 10 volte campione europeo della Montagna, e Paolo De Conto, campione del mondo karting. La Federazione, grazie anche ad proficue partnership come quella assicurata dalla Pirelli, ha annunciato i piloti dell’ACI Team Italia che sosterrà nel 2018, sono: Leonardo Lorandi (velocità in circuito), Fabio Andolfi, Luca Bottarelli, Diamiano De Tommaso e Marco Pollara (rally). Il Presidente ACI illustrerà i programmi di questa “nazionale azzurra “dell’automobilismo.

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UNA MERZARIO IN PISTA, 40 ANNI FA IL DEBUTTO IN ARGENTINA

(15/1/2018) TEAM MERZARIO, 40 YEARS AGO THE FIRST START. C’era la Ferrari, con Gilles Villenueve; c’era la Brabham, con Niki Lauda e la Lotus, con Mario Andretti. E c’era la Merzario con…Arturto Merzario. Tutto nacque da una frattura! Quarant’anni fa, al primo Gran Premio della stagione 1978 di F1, il 15 gennaio in Argentina, debuttò un’altra monoposto rossa, iscritta al campionato col nome del pilota cow-boy, ex ferrarista che all’alba dei suoi 35 anni decise di provare ad emulare i vari Mc Laren, Brabham, Surtees, ecc. Il pilota di Civenna, con il coraggio che non gli era (ed è) mai mancato, diventava costruttore. Le esperienze tutt’altro che soddisfacenti con la Ferrari – fu lui a dover lasciare il sedile a Lauda nel 1974 – la Iso, la Williams (Sir Frank apprezzava moltissimo Arturo), la Fittipaldi/Copersucar, la Wolf Williams, la March e la Shadow lo aiutarono a prendere una decisione non facile, gravida di problematiche ma entusiasmante ed estremamente motivante. Ma la scintilla si deve…ad un infortunio! 

COME NACQUE L’IDEA DELLA MERZARIO F1 – Ecco infatti come Arturone racconta la genesi del progetto: “Inizio 1977, ero a Cervinia a sciare. Per scattare una foto mi sono spostato, ho messo un piede sul ghiaccio, sono scivolato e caduto da una bella altezza. Femore rotto e addio al contratto con la ATS. In ospedale ho avuto tanto tempo per pensare. Ho comprato una March, ho visto che riuscivo a tirarci fuori qualcosa nonostante la sua vetustà e poichè che la lotta con le Case ufficiali era dura ho deciso di passare dall’altra parte!”.  Nella calura Argentina fu schierato il modello A1. La risicata squadra al box (Arturo spesso scendeva dalla macchina e, casco ancora in testa, aiutava i giovani meccanici a capire le modifiche necessarie…), si fece onore nonostante un’uscita di strada durante le prove. In prova 20° tempo su 24 concorrenti (davanti alle due Ensign, a Brett Lunger su Mc Laren privata e al debuttante Pironi su Tyrrell); in gara ritiro dopo 9 giri per guai alla trasmissione. La qualifica di Buenos Aires si rivelerà il miglior risultato assoluto conseguito dal Team di Carate Brianza. Per il resto, tante non qualificazioni e innumerevoli ritiri nonostante la collaborazione di Joe Palazzoli, Gian Paolo Dallara, le prove che il Drake acconsentì a Fiorano,  sponsor (anche importanti) che andavano e venivano, l’aiuto dei tifosi chiamati a dare un supporto economico dal settimanale Autosprint, l’acquisizione del materiale Kaushen, le chance offerte anche a due giovani talenti italiani come Colombo e Brancatelli. Fino alla capitolazione un anno dopo, con Arturo a lungo alle prese con i debiti prodotti da questa oggi incredibile avventura che comunque rimane nella storia della F1.
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LA NUOVA DUCATI MOTOGP, INCOGNITA LORENZO

(15/1/2018)NEW DUCATI MOTOGP, UNKNOW LORENZO. E’ appena stata presentata la nuova Ducati MotoGP, l’arma della Casa di Borgo Panigale per conquistare il titolo 2018 a lungo conteso a Marquez l’anno scorso grazie all’annata magica di Dovizioso. Resta l’incognita Lorenzo. Ci sono ottime possibilità che la moto italiana di proprietà Audi continui a dare filo da torcere a Honda e Yamaha ma la domanda che deve trovare (immediata) risposta è: quale rendimento offrirà lo spagnolo? Il centauro di Maiorca, 31 anni il prossimo 4 maggio, ingaggiato a 12 milioni di euro annui, è stata la grande delusione del 2017, classificato soltanto settimo (tre podi), dietro pure a Zarco. Ok, anche lui ha pagato lo scotto di tanti altri (vedi, uno per tutti, Valentino Rossi) approdati sul sellino della difficile Desmosedici, ma uno della sua classe ed esperienza ha ora un solo imperativo: riscattarsi. 
Nelle dichiarazioni ufficiali, il team lo sostiene e capisce gli sforzi profusi per cambiare lo stile di guida, soprattutto per acquisire maggiore feeling con l’anteriore. Sempre secondo il Team Principal Davide Tardozzi, la presenza del campionissimo è stata anche di stimolo per Dovizioso che effettivamente ha dato il meglio di sé. Dunque niente polemiche e, come si suol dire, testa bassa e correre. Jorge sa però che si gioca molta parte di reputazione (le accuse sono di aver ragionato con la testa e non con il cuore accettando il passaggio alla Ducati) e intanto ha ingaggiato il connazionale Alex Albon, quale coach personale. Bene, ma…forse pensa troppo al dopo e non è un bel segnale: pare infatti stia alacremente scrivendo la sua autobiografia e non manca di prospettare un futuro sulle quattro ruote: “Mi piacerebbe correre la 24 Ore di Le Mans”. Ducati nel 2017 ha venduto 55.871 moto in tutto il mondo, con un +12% solo in Italia (8.806 moto consegnate), +4% in Europa e +1,3% negli USA, suo primo mercato. Numeri che devono progredire ancora e il Lorenzo del 2017 non è il pilota “globale” che si cercava.

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ADDIO A DAN GURNEY, MORTO A 86 ANNI

(15/1/2018) – Ci lascia un’altra icona del motorismo degli anni ruggenti.  Ieri, all’età di 86 anni, è morto Dan Gurney, grande pilota americano, fondatore della Eagle F1 con la quale riuscì a vincere il Gran Premio del Belgio 1967 (4 i successi nella massima formula). Ma la F1 è stato solo uno dei suoi impegni nel motorsport che hanno spaziato dalla Sports Car alla F. Indy, dalla Nascar alla Can Am, alla TransAm e quant’altro. Nel 1967 ha anche trionfato alla  24 Ore di Le Mans insieme ad un altro “mostro sacro” Usa come A.J. Foyt, ma altre grandi classiche lo hanno visto protagonista. Teneva molto all’affermazione della tradizione americana nelle corse, di cui era fulgido esempio, e infatti fondò la AAR, la All American Racers. Era nato il 13 aprile 1931 a Port Jefferson e Motor Chicche gli aveva già dedicato un  post

https://motor-chicche.blogspot.com/2016/04/happy-birthday-dan-gurney-85-anni-un.html

La famiglia, che ha comunicato la notizia, ha anche fatto sapere che, secondo il volere di Dan, è possibile effettuare donazioni alla Hoag Hospital Foundation di Newport Beach. appassionato, concreto, efficace, anticipatore di modernità, dotato di grandi cognizioni ingegneristiche, aperto alle sfide, senza timore del futuro. Questo era Dan Sexton Gurney.

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HAPPY BIRTHDAY / GIANNI MORBIDELLI 50 ANNI, A PUNTI CON LA FERRARI NEL 1991

(13/1/2018) – Buoncompleanno a Gianni Morbidelli che oggi compie 50 anni! Il pilota di Pesaro“imperversa” tuttora in pista nel TCR International Series con ottimi risultati ed ha una chicca nella sua carriera: ha corso per la Ferrari andando anche a punti! Ma è una storia lunga…o, se volete, breve. Gianni è un altro talento italiano del volante che purtroppo non ha trovato duratura considerazione in F1 e quella fiducia che invece è stata accordata a tanti altri piloti a lui indubbiamente inferiori. Un pilota completo, entusiasta e concreto, in grado di primeggiare in ogni categoria. 

DALLA F3 ALLA FERRARI – La vittoria perentoria nel campionato italiano di F3 nel 1989 gli valse la chiamata della Ferrari – allora diretta da Cesare Fiorio,  sempre attento alla promozione degli italiani – della quale divenne collaudatore. Un’altra entità sensibile al coinvolgimento tricolore – la Minardi, quell’anno motorizzata Ferrari – nel 1991 gli diede l’occasione di affrontare una stagione completa dopo l’esordio frammentato con la Dallara nel 1990. L’epilogo del rapporto tra Maranello e Prost – ricordate il licenziamento del prof francese dopo il GP del Giappone? – aprì all’improvviso uno scenario incredibile: bruciando la concorrenza dell’altro collaudatore del Cavallino, Andrea Montermini, fu proprio il pesarese ad avere l’occasione di disputare l’ultima gara in Australia al volante della 642. Era il 3 novembre 1991, una gara disputata sotto la pioggia battente che venne arrestata dopo 14 giri: alla bandiera rossa Morbido era sesto. Punti dimezzati, ma che soddisfazione! L’inizio di qualcosa di bello? 

No, la Ferrari l’anno seguente (quello della terribile F92A) si affidò ad Alesi e Capelli e Morbidelli, confermato collaudatore, tornò alla Minardi per poi passare nel 1994 alla Footwork con cui continuò anche nel 1995 (non tutte le gare), e sempre in Australia riuscì a salire sul podio (!) grazie ad un mirabolante terzo posto. Ma la F1 diventava sempre più esigente a livello di budget e Morbidelli aveva saggiamente rivolto la sua attenzione al Turismo Italiano dove corse per Alfa Romeo e BMW. L’ultimo tentativo in F1, con la Sauber al posto di Larini, fu vanificato da un incidente durante un test a Magny Cours che lo costrinse a saltare tre GP. Di nuovo sotto, allora, con le ruote coperte: BTCC, ETCC, ALMS, FIA GT, WTCC e anche Superstars. Tante gare, vittorie fino all’attuale esperienza in TCR con il team West Coast Racing al volante della Volkswagen Golf GTI. Infinito Gianni!