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NUOVI TEAM PER LA F1 CERCASI

(31/1/2017) LOOKING FOR NEW F1 TEAMLa F1 del dopo Ecclestone targata Liberty Media riparte da dieci team e appena 20 monoposto in griglia. Ci vogliono nuovi team. La messa in liquidazione della Manor ha drammaticamente evidenziato la crisi che da anni tutti toccano con mano ma nessuno risolve. E’ bastato il nono posto di Nasr a Interlagos per sancire, grazie alla spettante fetta di torta dei proventi, la sopravvivenza della Sauber e la fine della travagliata avventura della ex Virgin nella massima formula. Fino al 2020 questo prevede il Patto della Concordia e speriamo che nel frattempo non si registrino altre defaillances, ma ancor più che nuovi team abbiano il coraggio – è il proprio il caso – di accettare la sfida. Sì, perché 20 macchine in pista, per lo spettacolo globale che la F1 ora più che mai ambisce ad essere, sono davvero poche. La FIA dovrebbe al più presto riaprire il recinto e soprattutto agevolare in qualche modo nuovi team a scendere in pista. I tempi, finanziariamente, sono assai difficili ma proviamo a prevedere qualche scenario, tra il sogno e la reale possibilità.
CASE UFFICIALI – Difficile che qualche Casa costruttrice sbarchi ora in F1. Il Gruppo Audi–Lamborghini sembrava potesse impegnarsi – vedi coinvolgimento di Stefano Domenicali – ma la crisi Volkswagen delle emissioni truccate negli USA ha bloccato tutto (Audi addirittura ritirata dal WEC e VW dal Mondiale rally). Altre come Jaguar, DS (quindi PSA, impegnata tra l’altro di nuovo nel WRC con la Citroen e nei Raid con la Peugeot) e Mahindra hanno investito in Formula E, mentre Toyota punta tutto sulla 24 Ore di Le Mans e per la BMW ci sono sempre solo voci mai confermate. Torna allora alla mente la famosa proposta di Montezemolo della terza monoposto e resta l’eco, sia pur lontana, della volontà espressa più volte da Sergio Marchionne di riportare in F1 l’Alfa Romeo (ma prima, sempre Marchionne dixit, la casa del Biscione deve fare cassa con i suoi modelli!). Ultima ipotesi, soprattutto se non dovesse decollare la partnership con la Mc Laren: la Honda lascerebbe il campo con ignominia o, magari, per salvare l’orgoglio tutto giapponese riporterebbe in pista una propria monoposto? Le risorse non gli mancano e non dimentichiamo che sulle ceneri della Honda 2008, inopinatamente ritiratasi, nacque la Brown GP poi campione del mondo con Button!
NUOVI TEAM PRIVATI – Se traccheggiano le grandi Case, figuriamoci i privati. Gli ultimi (2010) hanno miseramente fallito: Hispania Racing Team, Virgin, Lotus Racingper non parlare delle avventure mai nemmeno cominciate della USF1 e della serba Stefan GP. Si fa un gran parlare, con l’avvento dei nuovi proprietari americani, di aumentare la presenza della F1 negli Stati Uniti: quanto a Team a stelle e strisce solidi e professionali vien da pensare solo a Penske e Andretti Autosport ma anche loro sono già impegnati in altre categorie (anche se riportare un Andretti in F1, nel caso sarebbe Marco, è il sogno di Mario). Due uomini, inoltre, si dicevano recentemente molto interessati alla F1: il finanziere newyorkese James Carney e Tavo Hellmund, già fautore dello sbarco ad Austin e del ritorno a Città del Messico, ma forse la loro idea di business è legata solo ad un secondo GP in terra americana e precisamente a New York. Team molto professionali nelle formule propedeutiche sono la Prema PowerTeam (ah, come ci vorrebbe un team italiano!), la Art Gp, la Dams(è con la Renaultin F. E) e la Arden(Carlin ha addirittura lasciato la GP2) ma dubito altamente che possano o vogliano impegnarsi in un “gioco” così costoso anche se la via da seguire è quella della Haas che si è intelligentemente mossa in connubio con Ferrari e Dallara.
TEAM STORICI DELLA F1 – Qui sogniamo un pò. Detto dell’interesse della Theodore, (vedi post http://motor-chicche.blogspot.it/2015/12/theodore-racing-valuta-il-ritorno-in-f1.html) negli ultimi anni la F1 ha “perso” per strada team storici che hanno fatto la storia e la leggenda di questo sport. Da ultimo la Lotus, per quello che poteva richiamarsi alla mitica creatura di Colin Chapman, e nel tempo Benetton, Tyrrell, Ligier, Minardi, March e…Brabham. In merito a quest’ultima, recentemente gli eredi del grande Black Jack sono rientrati in possesso del nome e, seppur con le cautele del caso, non hanno nascosto il desiderio di riportare un giorno un nome così blasonato nel posto che merita, la F1. Ebbene, chi aveva acquistato nel 1972 il Team? Un certo Bernie Ecclestone che, oggi, si ritrova miliardario e “disoccupato” ma sempre innamorato di quello che è stato il suo mondo per una vita e forse poco intenzionato ad abbandonarlo del tutto. E se ci rifacesse un pensierino – sempre in accordo con i rampolli della celebre famiglia australiana – magari chiamando con sé l’altro fresco estromesso dalla F1 Ron Dennis e affidando un volante ad uno dei nipoti-piloti di Jack Brabham?
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ANNIVERSARY / 30 GENNAIO 1917. CENTO ANNI FA NASCEVA PAUL FRERE, AMORE SCONFINATO PER L’AUTO

(30/1/2017) Cento anni fa, il 30 gennaio 1917, nasceva a Le Havre Paul Frère. E’ quasi doveroso celebrare questo anniversario perché si tratta di un uomo leggendario, di origine belga, che ha dedicato praticamente tutta la vita ai motori, esaltandosi e facendosi apprezzare sia come giornalista sportivo che come pilota. Raffinato e competente, talentuoso e concreto, lascia in eredità una miriade di preziosi articoli e libri ma anche un curriculum-pista di tutto rispetto. Dopo un iniziale approccio motociclistico, già nel 1952 debuttò in Formula 1 al Gran premio del Belgio, al volante di una HWM del team Ecurie Belge, classificandosi subito a punti, quinto, ma riuscì a vincere il Grand Prix des Frontieres, gara non valida per il campionato. Erano gli anni d’oro della Mille Miglia e Frère, ovviamente direi, vi partecipò nel 1953 primeggiando nella categoria Turismo oltre 2000 cc su una Chrysler Saratoga insieme a Andre Milhoux. Poi ancora F1 e soprattutto, dopo una breve parentesi Gordini, due anni (1955 e 1956) con la Ferrari, culminati in un bellissimo secondo posto nel ’56 sulla “sua” pista di Spa dietro l’altro ferrarista Peter Collins. 
PRIMO A LE MANS NEL 1960 – Il Drake lo stimava molto e cedette alla corte spietata del belga che ambiva ad entrare nell’albo d’oro della 24 Ore di Le Mans. Già secondo nel 1955 – l’edizione del tragico incidente – e nel 1958, sempre su Aston Martin, nel 1960 colse il successo assoluto che agognava a bordo della Ferrari 250 Testarossa in equipaggio con il connazionale Olivier Gendebien (accoppiata tra l’altro già risultata vincente alla 12 Ore di Reims del 1957 e del 1958). 
Così Enzo Ferrari ricorda nel libro “Piloti che gente…”: “Sapevo ch’egli teneva tanto a disputare, e possibilmente vincere, la 24 Ore di Le Mans. Lo invitai, allora, a fare coppia con Gendebien su una mia macchina, col patto che se avesse vinto avrebbe smesso di correre, esaudendo così la preghiera della moglie e delle sue tre figliole. Vinse, infatti, e mantenne la promessa. Mi chiese poi il volante della Ferrari che aveva impugnato in quell’ultima corsa gloriosa, per appenderlo al muro dietro la sua scrivania”. Questo era Paul Frère, un amore davvero sconfinato per le auto. Nel 2006, pensate, all’età di 89 anni, era ancora in attività nei pressi del Nurburgring per testare – attività per la quale era particolarmente versato e stimato – una Honda, ma un brutto incidente gli costò una serie di fratture dalle quali non si riprese mai completamente. Morì il 23 febbraio 2008, a 91 anni.
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HAPPY BIRTHDAY / TAKUMA SATO 40 ANNI, IL “GRINTA” GIAPPONESE

(27/1/2017) TAKUMA SATO IS 40 YEARS OLD: JAPANESE FIGHTING SPIRIT. Takuma Sato, che domani 28 gennaio compie 40 anni, è stato probabilmente il pilota giapponese più forte della F1. Veloce, determinato e grintoso (fin troppo), aveva 25 anni quando debuttò, grazie alla Honda, con la Jordanequipaggiata del motore nipponico. Due anni prima si era laureato campione del British F3 ed aveva spopolato nelle prestigiose gare internazionali di Spa, Zandvoort e Macao. Insomma, non era uno sprovveduto e lo dimostrò nell’anno di grazia 2004. Al volante della competitiva BAR Honda ex Jacques Villeneuve conquistò il primo podio, terzo a Indianapolis – secondo giapponese a salirvi dopo Aguri Suzuki nel 1990 – e tanti piazzamenti classificandosi alla fine ottavo con 34 punti: la sua migliore stagione (per la cronaca il compagno di squadra Button fu però terzo assoluto). 
Già l’anno successivo si disunì provocando, tra l’altro, incidenti evitabili con Schumacher a Spa e con Trulli in Giappone che gli costarono una squalifica. Giubilato per far posto a Barrichello, dal 2006 al 2008 la Honda lo piazzò a grande richiesta dei fan nipponici – Sato ha lanciato in patria il Takuma kids kart challenge – alla neonata Super Aguri alla quale non solo assicurò i primi punti della sua storia, al GP di Spagna 2007, ma anche il miglior risultato assoluto: sesto posto in Canada. L’avventura finì di botto nel 2008, col ritiro della Honda che però non ha mai abbandonato il suo prediletto. Si trattò solo di varcare l’oceano – con un isolato intermezzo in Formula E – per accasarsi in Indy Series, inizialmente alla KV Racing, poi alla Rahal Letterman Racing – nel 2012 sfiorò la vittoria alla 500 Miglia di Indianapolis ma all’ultimo giro, nel tentativo di superare Franchitti, finì a muro – quindi alla corte del mitico AJ Foyt e infine  in Andretti Autosport (nella serie americana, finora, una sola vittoria, nel 2013 a Long Beach, e 4 pole).
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L’ULTIMA DI MAX ANGELELLI

(27/1/2017) MAX THE AX, LAST RACE AT DAYTONA. E’ giunta al capolinea la carriera di Max Angelelli: domani il pilota bolognese prenderà parte alla 24 Ore di Daytona e quella sarà, all’età di 50 anni compiuti lo scorso 15 dicembre, la sua ultima gara. Come dice lui, praticamente un atto di amore nei confronti della pista “dove tutto è nato” e di doveroso ringraziamento agli appassionati che lo hanno eletto loro idolo sopranominandolo “Max the Ax”(Max l’ascia, per il suo modo netto e pulito di superare l’avversario). L’anno scorso, a fine gara, dovettero estrarlo dalla vettura poiché aveva perso i sensi per aver inalato gas di scarico, ma resistette stoicamente fino al traguardo. L’America non era la sua meta prediletta – stava a meraviglia in Giappone – ma è diventata presto terra di conquista, oltre a farsi apprezzare per la grande organizzazione a stelle e strisce. 
Nel 2005 la consacrazione: vittoria alla 24 Ore di Daytona insieme a Wayne Taylor e Emanuel Collard e vittoria del campionato Grand Am Daytona Prototype. Quindi il volo: sempre con Taylor, diventato più di un amico, eccolo nel 2006 nella IROC e negli anni successivi di nuovo nella Grand Am al volante della Dallara Pontiac della Sun Trust Racing. Anni belli, intensi, di successo. Quando nel 1992 divenne campione italiano di F3 – esordì nel 1987 con le Alfa Boxer – Angelelli sognava la F1 e aveva tutti i numeri per fare bene (fu vicino a guidare la Tyrrell) ma la cosa non si realizzò. Nel fatidico Gp di S. Marino 1994 era lui alla guida della Safety Car che precedette Senna e tutto il plotone prima dello schianto mortale. Ha corso dappertutto e con tutto: F3 tedesca, Macao, FIA Gt, ALMS, la 24 Ore di Le Mans del 1999 (11°) e può dire assolutamente di aver avuto una carriera florida. Non lascerà il motorsport, è anzi co-proprietario della WTR (Wayne Taylor Racing), ma semplicemente non guiderà più perchè “Nella vita c’è sempre una fine a tutto”. 
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ECCLESTONE, MONTEZEMOLO, RON DENNIS OUT: E’ LA FINE DI UN’EPOCA DELLA F1

(26/1/2017) – In F1 è chiaramente la fine di un’epoca. Il “pensionamento” di Bernie Ecclestone da parte dei nuovi proprietari di Liberty Media è solo l’ultimo e più eclatante tassello di un processo che, negli ultimi anni, ha subìto un’accelerazione molto importante. La “vecchia guardia”, cioè i protagonisti e i veri padroni della F1 a partire dalla seconda metà degli anni ’70, per un motivo e per un altro stanno uscendo – e spesso vengono invitati a farlo – a beneficio di una nuova generazione di leaders e gestori delle leve del comando. I nomi dei fuoriusciti sono presto detti. 
Nel 2014 niente meno che il Presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo fu traumaticamente messo alla porta dal CEO FCA Marchionne, in teoria un amico, che poi si mise addirittura di traverso anche in relazione ad una possibile sua carica nello Stretegy Group dell F1. Insomma, Montezemolo doveva sparire ed infatti così è stato, seppur con suo sommo dispiacere. E’ di quest’anno, poi, l’estromissione di un altro storico boss della F1 come Ron Dennis, allontanato dalla gestione diretta della Mc Laren e, si dice, in cerca di un nuovo team dove regnare e perpetrare la sua più che trentennale presenza nella massima formula. 
A questo trio delle meraviglie e dei ricordi epici, Ecclestone-Montezemolo-Dennis, aggiungiamoci pure Peter Sauber, un passato storico nel panorama motorsport – ricordiamo il volante offerto in Gruppo C ad un giovane e promettente Schuamcher – anche se relativamente giovane in F1 (esordio nel 2006) che ha dovuto forzatamente passare la mano del Team svizzero per cronici problemi finanziari. Non è poi forse così lontano il giorno in cui anche Sir Frank Williams farà un mezzo passo indietro dal mondo che è tutta la sua vita (l’antico sodale Head lo ha già fatto da qualche anno).

E’ giusto così? C’è un tempo per tutti? Hanno commesso errori? Certo, se penso a questa recente dichiarazione di Ecclestone: “Non mi interessano twitter, Facebook e altre assurdità del genere, né serve attrarre i giovani verso la F1 per mostrargli un marchio: i ragazzini non possono permettersi un Rolex!”, penso che non abbia tutti i torti Ross Brawn, nuovo board della proprietà, quando dice “Ecclestone è stato grande, ma forse era tempo di un cambiamento”.

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NON DITE A DONALD TRUMP DELL’OPERAZIONE HAAS F1 !

(24/1/2017) –  DON’T SAY TO TRUMP ABOUT HAAS F1 TEAM! Metti che Donald Trump, neo-presidente degli Stati Uniti che oggi incontra i grandi capi dell’auto compreso Marchionne per FCA, venga a sapere i termini dell’operazione F1 del Team Haas e cioè: una squadra americana, ok con sede a Richmond, ma che si fa costruire (pagando, ovviamente) le vetture in Italia, dalla Dallara. E monta (pagandolo, ovviamente) un motore italiano, Ferrari. E che ha come Team principal (stipendiandolo, ovviamente) un italiano alto-atesino, Gunther Steiner, per non parlare dei numerosi meccanici inglesi. E che si avvale di due piloti che rispondono al nome di Grosjean, (francese, ingaggiato) e di Magnussen (danese, pagante). Insomma, di americano non c’è moltissimo. E quali sono stati i cavalli di battaglia di Trump durante la campagna presidenziale, ribaditi con forza durante il discorso di insediamento di venerdì scorso? “Assumete americani, comprate americano, american first”! 

Insomma, il buon Gene Haas potrebbe finire sulla lista dei “cattivi” alla Casa Bianca ed essere richiamato all’ordine, e cioè: monoposto da costruire negli USA e motore Chevrolet (altrimenti sarebbero…dazi di Dallara e Marchionne), Mario Andretti DS e come piloti Alexander Rossi o Hunter-Reay e Danica Patrick, tanto per dimostrare che lui, Trump, non è quel sessista che viene tratteggiato con ignominia… Scherzi a parte – ma vedi mai che… – bisognerebbe comunque informare il Presidente che nel 2010 l’ingegner Dallara ha investito qualcosa come 12 milioni di dollari, in sinergica collaborazione con lo Stato dell’Indiana e di un partner locale, per la realizzazione di un Centro Tecnologico d’avanguardia a Indianapolis con l’occupazione di 110 persone!
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HAPPY BIRTHDAY / DAVIDE VALSECCHI 30 ANNI, MERITAVA LA F1

(24/1/2017) – Oggi Davide Valsecchi compie 30 anni: buon compleanno a uno degli ultimi talenti puri espressi dall’Italia dei motori. Inutile girarci intorno: peccato che non abbia avuto modo di dimostrarlo in F1 e non starò qui a dilungarmi più di tanto sulla nota decisione-flop dell’allora DS Lotus Eric Bouillier di preferirgli Kovalainen – il pilota di Erba era il terzo pilota – per sostituire nelle due ultime gare della stagione 2013 il titolare Raikkonen operato alla schiena. Magari è il caso di rileggere l’intervista ad Angelo Corbetta che lo fece debuttare a 18 anni in F3:
http://motor-chicche.blogspot.com/2014/01/f1-crudele-con-valsecchi-buon.html

Fu la fine del sogno, ad un passo dall’avverarsi. Bouillier è ora al muretto Mc Laren, Valsecchi da allora ha sostanzialmente ha chiuso con le corse, dopo un tentativo vano di sbarcare in America. Ma non ha abbandonato del tutto il mondo che invece lo ripudiato nonostante meriti e sacrifici. E’ protagonista della trasmissione televisiva Top Gear Italia, insieme a Guido Meda e allo chef Joe Bastianich in onda su Cielo, ed è nella squadra Sky Italia che segue i Gran Premi di F1. Non so se l’amarezza di Davide sia passata del tutto o gli venga ancora  il magone a pensare quel che poteva benissimo essere e non è stato. Speriamo che almeno Giovinazzi, alla Ferrari, possa godere di una reale chance e, in qualche modo, riscattare quell’affronto. Una cosa è certa: tra gli 11 campioni della GP2, Valsecchi – lui ha vinto nel 2012 – è uno dei due  che non ha mai corso una gara di F1. L’altro è lo svizzero Leimer e per ora Gasly è stato spedito in Giappone…
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​FLASHBACK / GP BRASILE 1977. PRIMA VITTORIA DI REUTEMANN CON LA FERRARI (ma quante polemiche)

(23/1/2017)FIRST WINS REUTEMANN-FERRARI. Con la vittoria trionfale del Gran Premio del Brasile 1977, il 23 gennaio di 40 anni fa, Carlos Reutemann non solo vinse la sua prima gara al volante della Ferrari ma probabilmente pensò di poter concretamente aspirare al titolo mondiale. A Interlagos, sulla T2, partì in prima fila col secondo tempo dietro l’invincibile pole-man James Hunt ma, dopo una sfuriata di Pace su Brabham-Alfa, ben presto si portò al comando per non abbandonarlo più staccando sul traguardo di oltre dieci secondi lo stesso Hunt e il compagno di squadra Niki Lauda, partito addirittura in settima fila! La situazione, all’interno del Team di Maranello, era però in quel momento pessima. 
Lauda, reduce dalla perdita del titolo ’76 per il controverso abbandono al Fuji, era stato riconfermato dal Drake – che in principio gli aveva offerto il posto di Direttore Sportivo – ma Reutemann, che Niki non stimava e che aveva già esordito con la terza Ferrari al GP di Monza 76, sarebbe stato prima guida. Una decisione ovviamente non digerita dall’austriaco frustrato e polemico per questa che definì “mancanza di fiducia”. Tanto per capire il clima di quel momento ecco tre esempi: dopo il GP inaugurale di Argentina (Lauda ritirato, Lole terzo), l’austriaco si precipitò a colloquio con Enzo Ferrari; alla vigilia del GP del Brasile ci fu un summit segreto tra Forghieri e i due piloti; a Interlagos l’argentino fu il solo ad utilizzare un alettone posteriore nuovo. Insomma, un successo, quello di Reutemann dal sapore aspro e che, tra l’altro, sarebbe rimasto l’unico della stagione mentre Lauda non solo riuscì a conquistare il secondo titolo ma a fine stagione annunciò il clamoroso divorzio dalla Ferrari.
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IL BRASILE DEL FUTURO IN F1 E’ SERGIO SETTE CAMARA

(20/1/2017) – Il Brasile della F1 ha perso Nasr e ha “ritrovato” in extremis Felipe Massa ma guarda a Sergio Sette Camara. Al primo, il Banco do Brasil ha chiuso il rubinetto e addio Sauber mentre al secondo  si sono riaperte le porte della Williams grazie alla scelta di Bottas al posto di Rosberg in Mercedes. Il paese di Fittipaldi, Piquet e Senna mantiene dunque un piede nella massima formula ma, realisticamente, l’anno prossimo il problema della presenza di un pilota carioca, e dunque di tanta tradizione e storia, si riproporrà. Occorre quindi guardare avanti: la speranza è Sergio Sette Camara, 18 anni, di belo Horizonte (Pedro Piquet è un passo indietro). “Svezzato” da, tra gli altri, Nelson Piquet jr, Da Matta e Rafa Mattos, vanta inoltre un ottimo inglese (ha frequentato la Scuola Americana di Belo Horizonte). 
Il ragazzo, in pista con i kart dal 2006, è appena uscito dal programma Red Bull Junior ma si è accasato per il 2017 in GP2 col team olandese MP Motorsport. Viene dall’esperienza biennale in FIA F3 – podi, ma nessuna vittoria – e soprattutto da un beneaugurante terzo posto nella gara internazionale di Macao. La F1 gli ha già messo gli occhi addosso: l’estate scorsa è stato chiamato dalla Toro Rosso per provare la monoposto faentina nei test post GP di Silverstone. Nel 2017, dunque, un esame molto importante per lui, al volante di una vettura più potente e complessa. Il Team Principal Sander Dorsman è ottimista: “Sergio è un giovane pilota di grande talento. Incredibilmente veloce, è sicuramente uno dei migliori candidati della GP2”. Lui non fa mistero del suo obiettivo finale: “Sono contento di correre con loro e spero di poter completare il mio percorso di avvicinamento ala F1”. Auguri.
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CIAO MARIO. E’ morto Poltronieri, uomo RAI della F1

(19/1/2017) –  E così non c’è più Mario Poltronieri: ieri a 87 anni ci ha lasciati il mitico telecronista nazionale della F1 che ha accompagnato con la sua voce gli appassionati alla scoperta della massima formula. 
Un passato brillante in veste di sopraffino collaudatore Abarth e poi l’accesso in RAI culminato nel momento epico della F1, quella dal ritorno all’iride della ferrari (1975) al duello Lauda-Hunt 1976 in poi, quando gli italiani cominciarono ad abituarsi alle dirette, prima in bianco-nero e poi a colori, mettendo la F1 dietro solo al calcio nella scala di gradimento sportivo. Simpatico meneghino, ha lavorato fino al 1994: sua la drammatica telecronaca, insieme a Clay Regazzoni ed Ezio Zermiani, del Gran Premio di San Marino in cui morì Senna. Sensibile, competente e appassionato, resterà nella memoria di tutta una generazione di appassionati.
Nel 2013 parlai l’ultima volta al telefono con lui. Era nella sua casa, bloccato a letto a seguito di una brutta caduta. Entusiasticamente logorroico, affrontò tutti i temi caldi della F1 – monotonìa, crisi-Ferrari, turbo, ecc. – e come potete leggere dal link che segue i suoi commenti e le sue valutazioni, a 3 anni di distanza, risultano ancora azzeccati e attualissimi.
http://motor-chicche.blogspot.it/2013/09/mario-poltronieri-formula-1-ridicola.html