(15/12/2016) – Il 17 novembre 2006 Clay Regazzoni fu tra gli ospiti d’onore alla presentazione, alla quale c’ero anche io, del libro “Tecno. La storia”, presso il Club La Meridiana di Casinalbodi Modena. Solo 28 giorni dopo, il 15 dicembre, rimase vittima di un incidente stradale sulla A1 in corrispondenza del Comune di Fontevivo, nei pressi di Parma. Quelle che vedete sono le forse le ultime foto pubbliche del grande pilota svizzero di Lugano che non volle mancare all’invito dei fratelli Pederzani, Luciano e Gianfranco, ai quali nel 1970 diede la grande gioia della vittoria del campionato europeo di F2. “Clay era il più veloce su qualsiasi mezzo”, ricorda Gianfranco.





Proprio in quel 1970, il ticinese divenne l’idolo dei ferraristi grazie alla vittoria, il giorno dopo la tragedia Rindt, nel Gran Premio d’Italia di F1 a Monza (il debutto avvenne al GP di Olanda, 4°) davanti a Stewart e Beltoise. Per Enzo Ferrari corse fino al 1976, con la parentesi 1973 alla BRM, centrando altri tre successi ma senza riuscire a coronare il sogno possibile del titolo mondiale nel 1974, perso misteriosamente all’ultima gara al Glen. Quel giorno cominciarono a incrinarsi i rapporti, con Lauda eletto a prima guida. “Come collaudatore, per me Clay era migliore di Niki”, dice spesso l’ingegner Forghieri. Fu lui, nel 1979, a regalare la prima vittoria a Frank Williams. Nel 1980, a Long Beach, l’incidente che lo rese paraplegico.

Gianclaudio “Clay” Ragazzoni, famiglia di origini bergamasche, era figlio di Bruna e Pio, proprietario di una carrozzeria a Mendrisio. Il padre lo avrebbe voluto con lui ma, dopo l’amore per il calcio (era ala sinistra nei Lugano Boys), l’incontro con il pilota svizzero Silvio Moser lo proiettò verso le corse. Prime auto: una Austin Sprite per la Salitae una De Tomaso F3. “Ho iniziato per divertirmi, ho finito per farlo come professione”. Già, ma il vero Clay che manca tanto, “baffo” sornione e profondo, quello che è “Una questione di cuore” (il libro Premio bancarella), il ruba cuori femminili, quello che non sapeva vivere senza le corse ma che voleva vivere la vita (con i primi soldi guadagnati aprì un locale notturno) sta tutto in queste frasi del periodo metà anni ’70.
Pensieri e concetti ai quali è rimasto coerente fino all’ultimo.
“Avere un volante tra le mani mi esaltava ma non era la solita manìa di un ragazzino, il bisogno di sentirsi grandi, bensì qualcosa di più. Una predestinazione direi”.
“Non ho mai cercato con accanimento la vittoria, mi bastava correre. Io sono uno che si accontenta”.
“Lauda sembra che provi grande piacere a vivere nel modo rigoroso confacente ad un corridore di oggi. Una vita che a me, francamente, sembra arida”.
“Voglio essere un uomo che guida felice, non una macchina o un robot che cerca vittorie”.
“Mi addolora l’indifferenza che si è stabilita tra noi piloti. Dopo aver tagliato il traguardo scappano tutti, non nascono amicizie. Io, dopo Silvio Moser, non sono più riuscito a farmi un amico nell’ambiente automobilistico”.
“Oggi molti piloti vogliono essere vedettes e gareggiare come se fossero in salotto, ma la gente ci ammira per il coraggio di correre a 300 all’ora”.
“Le ragazze dei box non sono più come una volta: ci sono le 20enni fanatiche e signore con la puzza sotto al naso”.
“La nostra è una professione che lascia poco spazio a tutto il resto, anche al pensiero. Non bruciamo solo chilometri ma istanti”.
“Oggi non è importante l’uomo, la sua anima, il suo coraggio, ma la macchina. E’ lei che decide. Noi come protagonisti, siamo già in pensione da un pezzo”.