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ANNIVERSARY / 30 GIUGNO 1966. NINO FARINA, 50 ANNI FA LA MORTE DEL PRIMO CAMPIONE DEL MONDO DI F1

(30/6/2016) 50 YEARS AGO DIED NINO FARINA, THE FIRST F.1 WORLD CHAMPION. Sono passati 50 anni dalla morte di Giuseppe Emilio “Nino” Farina, il 30 giugno 1966, pilota automobilistico di un’altra epoca, ma il suo nome non verrà mai dimenticato. Lo ricordano costantemente gli Albi d’Oro, gli storici dell’auto, i telecronisti più inclini a raccontare la F1. Farina è stato infatti il primo campione del mondo della neo costituita Formula 1: 66 anni fa, nel 1950 con l’Alfa Romeo 158, in classifica finale si piazzò davanti a Fangio e Fagioli (le 3 formidabili “F”). Vinse anche la prima gara titolata, a Silverstone, facendo segnare inoltre la pole position e il giro più veloce. Dati sportivi e statistici che lo proiettano negli anni quale magnifico precursore delle gesta dei successivi pionieri del rischio su quattro ruote, fino ai Vettel ed Hamilton di oggi. Ma, per i più giovani, che tipo di pilota e di uomo era Nino Farina? Nato a Torino nel 1906, il padre Giovanni era il patron di una delle più antiche ed importanti carrozzerie automobilistiche dell’epoca, gli “Stabilimenti Farina”, lo zio era il mitico Pinin Farina. Lui, dopo la laurea in legge, sembrava destinato alla carriera legale. Nulla di più sbagliato: era un esuberante sportivo e dopo il ciclismo, l’equitazione e lo sci rimase folgorato dai motori. 
Prima gara nel 1930, la salita Aosta – Gran San Bernardo, e già dal 1936 al 1939 si laureò consecutivamente campione italiano assoluto di velocità. In breve tempo divenne uno dei massimi alfieri dell’Alfa Romeo. Accettava spavaldamente il rischio ma si abbandonava edonisticamente ai piaceri della vita, donne in testa (e un sigaro cubano mentre era ala guida!). Dopo il ritiro dell’Alfa Romeo, nel periodo tra il 1952 e il 1955, passò alla Ferrari con la quale aveva già corso regalando nel 1949 al Drake la prima vittoria all’estero del Cavallino, il Gran Premio di Rosario, in Argentina. Con la Rossa si affermò anche alle 1000 Km del Nurburgring (1953) e di Buenos Aires (1954); nel 1956 organizzò una spedizione alla 500 Miglia di Indianapolis con una monoposto frutto di un complicato assemblaggio Bardhal-Ferrari-Osca che però non diede frutti (mancata qualificazione). Enzo Ferrari così lo dipinse nel suo “Piloti che gente”: Era l’uomo dal coraggio che rasentava l’inverosimile. Un grandissimo pilota, ma per il quale bisognava stare sempre in apprensione, soprattutto alla partenza e quando….

mancavano uno o due giri all’arrivo. Alla partenza era un poco come un purosangue ai nastri, che nella foga della prima folata può rompere; in prossimità del traguardo era capace di fare pazzie, ma, bisogna pur dire, rischiando solo del proprio, senza scorrettezze e danno ad altri. Così, aveva un abbonamento alle corsie dell’ospedale”. Si ritirò quell’anno, a 50 anni, e il 30 giugno del 1966, nei pressi di Aiguebelle, rimase vittima di un incidente mortale mentre guidava una Ford Cortina Lotus. 

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