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HAPPY BIRTHDAY / DAN GURNEY 85 ANNI, UN MARINE IN F1

(13/4/2016) – Tanti auguri di buon compleanno al grande Dan Gurney, oggi 85 anni, un altro dei “grandi vecchi”del motorsport americano che hanno lasciato un segno del loro talento anche in Europa. Nato a Port Jefferson nel 1931, altissimo, ex Marine (in Corea), figlio di un cantante lirico e nipote dell’inventore dei cuscinetti a sfera, Daniel Sexton Gurney si mise in testa un’idea meravigliosa: affermarsi in Formula 1, lui che proveniva da una tradizione motoristica così diversa. Ci provò perché, oltre alla bruciante passione e al talento innato, sapeva di poter contare su una ferrea determinazione e su una preparazione tecnica non comune. Lo chiamavano infatti “meticoloso Dan”. La strada maestra per le sue ambizioni era costituita, ovviamente, dalla mitica Ferrari.

E Gurney ci arrivò presto grazie ai risultati e alle segnalazioni a Maranello da parte del plenipotenziario USA Luigi Chinetti e del connazionale Phil Hill. Nel 1958 debuttò su una rossa alla 24 Ore di Le Mans e l’anno dopo era in F1 dove si mise in luce in Germania (2°) e in Portogallo (3°). Ma Gurney aveva fretta di primeggiare e preferì battere altre strade: BRM (1960), Porsche (1961 e 1962) alla quale regalò il suo e il loro primo successo assoluto al Gp di Francia ’62 (e dove trovò moglie in Eva Butzi, dell’ufficio stampa), Brabham (1963/1965), fino alla decisione di diventare costruttore, realizzando attraverso la AAR – All American Racers, fondata insieme a Carol Shelby, la Eagle. Molto ben realizzata, montava inizialmente il classico Coventry-Climax per passare poi al 12 cilindri a V della Weslake, appositamente progettato. Il debutto avvenne quasi 50 anni fa, il 12 giugno del 1966 al GP del Belgio che Gurney vincerà un anno dopo, unico successo della neonata concorrente. 

L’americano concluse la sua avventura in F1 con la Brabham e infine la Mc Laren, nel 1970, per tornare in patria con un totale di 86 GP disputati, 4 vittorie e 3 pole. Ma soprattutto con il generale apprezzamento degli addetti ai lavori – diede filo da torcere a  mostri sacri come Moss, Clark, Graham Hill, Jack Brabham – che ancora oggi lo tratteggiano come un pilota ingiustamente sottovalutato.  La sua grandezza sta negli altri trionfi conseguiti: primo alla 12 Ore di Sebring del 1959 (Ferrari 250), alla 1000 Km del Nurbugring del 1960 in coppia con Moss (Maserati Tipo 61), alla 3 Ore di Daytona del 1962, alla 24 Ore di Le Mans del 1967 insieme a A.J. Foyt (Ford GT40), due volte secondo alla 500 Miglia di Indianapolis (1968 e ’69) che vincerà con….

una sua macchina e Bobby Unser al volante nel 1975 (è tra i co-fondatori del campionato CART e sarà protagonista di una partnership con la Toyota molto proficua nella IMSA). Insomma, stiamo parlando di un vincente (corse anche nella CanAm) e di un brillante innovativo (vedi il “Flap di Gurney”): la sua AAR, oggi affidata al figlio, è attiva nel campo della progettazione e ingegneria per l’auto, la moto (vedi l’Alligator) e l’industria aeronautica. Per dire, infine, della sua modernità e inventiva: fu il primo ad indossare il casco integrale (Indy 1968, da lì il binomio con la Bell) e il primo a introdurre sul podio l’usanza di spruzzare lo champagne (Le Mans 1967). 

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