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MARCUS ERICSSON, L’ULTIMO EREDE SVEDESE

(17/2/2014) – L’arrivo di Marcus Ericsson in F1 (nato a Kumla, 23 anni, alto 1,80, amante della cucina italiana) non deve sorprendere più di tanto perché è in linea con due parametri dalla massima formula. Possiede una oggi richiestissima ricca dote, che è stata in grado di scalzare dalla Catheram Giedo Van der Garde, che pure non scherza in proposito, e poi è l’ultimo erede della tradizione automobilistica svedese – fino al 1978 la F1 faceva tappa anche all’autodromo di Anderstorp – che ha saputo produrre e portare sul palcoscenico più rilucente alcuni piloti di tutto rispetto. Il migliore è senza dubbio Ronnie Peterson – venerdì scorso ricorreva il 70° della nascita – riconosciuto come uno dei piloti più veloci mai apparsi in F1. Due volte vice campione del  mondo (nel 1971 su March e nel 1978 su Lotus), 123 Gp disputati (nel 1977 una stagione anche alla Tyrrell) e 10 vittorie. 

Nel 1976, Ferrari lo contattò – nonostante una certa riluttanza nei confronti dei piloti spilungoni – per prendere il posto di Lauda dopo l’incidente del Nurburgring. Come ricorda con gratitudine nelle sue memorie l’austriaco, Ronnie preferì avvisare dell’offerta il collega e poi non se ne fece più nulla. Uno schianto tremendo contro il guard rail in partenza al GP di Monza del 1978 gli maciullò le gambe e il giorno dopo un’embolia fu causa della sua morte. Al funerale, già divorato da un male incurabile, c’era Gunnar Nilsson, altro esponente della nouvelle vague svedese al quale ho già dedicato un post in occasione dei 35 anni dalla scomparsa (http://motor-chicche.blogspot.com/2013/10/anniversary-20-ottobre-1978-gunnar.html). Ma come non ricordare la chance (non sfruttata) toccata a Stefan Johansson che a stagione 1985 iniziata ricevette la chiamata della vita dalla Ferrari per sostituire Renè Arnoux caduto in disgrazia a Maranello? Il Drake ….




aveva annotato il suo nome l’anno prima, quando al decisivo GP del Portogallo per assegnare il titolo tra Lauda e Prost, non mostrò alcuna reverenza in fase di sorpasso nei confronti del blasonato austriaco in feroce rimonta. I risultati però non arrivarono e fu avvicendato nel 1987 da Berger. Pilota molto ricco ma molto serio e appassionato era Joakim Bonnier, capace di vincere anche un GP, quello di Olanda del 1959 su BRM. Fondò anche la propria scuderia e, tra il 1966 e il 1967, corse con una Cooper Maserati e una Mc Laren.  Aveva a cuore la sicurezza, per la quale si battè in veste di Presidente dell’Associazione piloti da Grand Prix. Purtroppo rimase vittima egli stesso di un incidente mortale alla 24 Ore di Le Mans l’11 giugno del 1972.  

Ronnie Peterson

Ricordo poi lo stupore con il quale l’ambiente accolse l’arrivo nel 1981, direttamente dalla F3, del semi-sconosciuto Slim Borgudd, ingaggiato dalla ATS. Curiosa la “sponsorizzazione” da parte del gruppo musicale svedese degli Abba ma egli stesso era attivo nel mondo musicale quale apprezzato percussionista in vari complessi e compositore (una ventina gli ellepi prodotti). Colse solo un buon sesto posto al GP di Inghilterra mentre l’anno seguente alla Tyrrell rimase a secco e quello fu l’epilogo dell’avventura (10 GP disputati). Dai laghi ghiacciati agli autodromi fu invece il tragitto di Reine Wisell, figlio di un tecnico di apparecchi radio televisivi. Amico di Peterson, iniziò comprando con lui una Tecno per poi debuttare in F1 nel 1970 e rimanerci fino al 1974 guidando Lotus (compagno di squadra di Fittipaldi) con la quale colse i migliori piazzamenti, BRM e March. Davvero velleitari, infine, i tentativi di Conny Andersson (5 GP, 1976/77, Surtees e BRM), Torsten Palm (2 GP, 1975, Hesketh-Polar) e Berti Roos (1 GP, 1974, Shadow). 

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