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L’AMARO TRIBUTO DI LE MANS


(24/6/2013) – Dopo la morte di Allen Simonsen, il 34enne pilota danese della Aston Martin classe GTE Am, andato a schiantarsi sulle barriere della curva Tertre Rouge al terzo giro della 24 Ore di Le Mans, i giornali hanno rivangato l’ultimo decesso nel corso della maratona francese – Sebastien Enjolras nel 1997 – e addirittura il terribile incidente della Mercedes di Levegh nel 1955 che falciò anche 83 spettatori. Resta il dato inconfutabile della pericolosità delle corse, pur con tutte le migliorìe in tema di sicurezza che sicuramente hanno ridotto il triste conteggio. Resta la pericolosità di una corsa su un circuito così lungo, dove le vie di fuga non abbondano e i robusti guard-rails, per lunghi tratti, sono troppo ravvicinati al bordo pista. Un errore, un guasto, potrebbero non essere perdonati. Dindo Capello, uno degli eroi di questa gara, passata una certa età ha coraggiosamente deciso di dire basta. Dalle camera-car della vettura che seguiva Simonsen si nota la deviazione improvvisa verso sinistra. 

Ricorda quanto accaduto al povero Senna. Poi l’impatto, violento e fatale. Il portacolori dell’Aston Martin non è morto sul colpo ma non c’è stato niente da fare: è spirato poco dopo essere stato trasportato nel centro medico del circuito. La corsa è continuata, poi le solite polemiche sull’opportunità o meno di fermare tutto, il podio che non poteva essere festoso, le dediche postume. In 90 anni di storia Le Mans ha chiesto il suo alto e  amaro tributo. Ora si dovrà capire cosa sia successo, metabolizzare l’accaduto, escogitare nuove soluzioni che salvaguardino la vita umana. Jean Todt, a nome della Fia, nel suo messaggio di cordoglio, ha scritto: “Per molti nelle gare di durata, Allan era soprattutto un buon amico che ha mostrato la sua passione per le corse su pista e fuori”.

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